MASSIMA (ipotesi)
In presenza di una pluralità di categorie di azioni o di quote, la delibera di aumento di capitale che prevede l’emissione di un numero di nuove azioni o quote non proporzionale rispetto al numero delle azioni o quote di ciascuna categoria esistente – con o senza diritto di opzione ai sensi degli artt. 2441 e 2481-bis c.c. – non costituisce di per sé un pregiudizio dei diritti di alcuna delle categorie di azioni o quote, ai fini dell’approvazione dell’assemblea speciale ai sensi dell’art. 2376 c.c. Parimenti, non costituisce di per sé un pregiudizio dei diritti di alcuna delle categorie di azioni o quote, ai sensi dell’art. 2376 c.c., la circostanza che un aumento di capitale sia deliberato con esclusione del diritto di opzione ai sensi degli artt. 2441 e 2481-bis c.c., a prescindere dal fatto che esso sia proporzionale o non proporzionale rispetto alle categorie di azioni o quote già esistenti. Resta salva la necessità di verificare se, nel caso concreto, lo specifico contenuto dei diritti di ciascuna categoria di azioni o quote possa dar luogo a un pregiudizio di una o più categorie di azioni o quote, tale da rendere necessaria l’approvazione ai sensi dell’art. 2376 c.c.
Sono legittime le clausole statutarie che prevedono, in caso di aumento di capitale sociale in presenza di una pluralità di categorie di azioni o quote: (i) che sia necessaria l’approvazione delle assemblee speciali di una o più categorie ai fini della deliberazione di qualsiasi aumento di capitale, proporzionale o non proporzionale; (ii) che sia necessaria l’approvazione delle assemblee speciali di una o più categorie qualora l’aumento di capitale abbia ad oggetto l’emissione di nuove azioni o quote in misura non proporzionale, con o senza esclusione del diritto di opzione; (iii) che l’aumento debba avere ad oggetto l’offerta di un numero di nuove azioni o quote proporzionale rispetto al numero delle azioni o quote di ciascuna categoria esistente. La modifica delle predette clausole richiede in ogni caso l’approvazione delle assemblee speciali delle diverse categorie.
Sono altresì legittime le clausole statutarie che escludono espressamente la necessità dell’approvazione delle assemblee speciali ai sensi dell’art. 2376 c.c. in tutti i casi di aumento di capitale non proporzionale, con o senza diritto di opzione, oppure in alcuni determinati casi di aumento di capitale non proporzionale, rendendola invece sempre necessaria nelle residue ipotesi di aumento non proporzionale.
MOTIVAZIONE
1.— Sulla base dei principi generali, in presenza di una pluralità di azioni, le modificazioni statutarie rimangono di competenza dell’assemblea straordinaria “generale”, con la partecipazione di tutte le azioni dotate del diritto voto nella medesima. Tuttavia, qualora esse comportino un pregiudizio ai diritti di una o più categorie di azioni, si rende necessaria l’approvazione delle assemblee speciali delle categorie interessate (art. 2376 c.c.). Tale disciplina, pur non espressamente richiamata, deve intendersi applicabile in via analogica anche in presenza di una pluralità di quote di s.r.l., là dove la legge le consenta (come avviene per le s.r.l. PMI, ai sensi dell’art. 26, comma 2, d.l. 179/2012: cfr. la massima 177 in data 27 novembre 2018).
Nell’ampio novero delle modifiche statutarie, ve ne sono alcune che difficilmente possono configurare un pregiudizio ai diritti di una o più categorie di azioni o di quote: si pensi, ad es., alla modifica della denominazione o della sede sociale. Al contrario, ve ne sono altre che per loro natura possono dirsi più “pericolose”, nel senso che presentano maggiori probabilità di comportare un pregiudizio ai diritti di una o più categorie di azioni o di quote. Ne è un esempio la deliberazione di aumento del capitale sociale, soprattutto se “non proporzionale” (qualora cioè preveda l’emissione di un numero di nuove azioni o quote non proporzionale rispetto al numero delle azioni o quote di ciascuna categoria esistente) e/o con esclusione del diritto di opzione dei soci. Tale operazione, infatti, è suscettibile di “sparigliare” le carte sul tavolo e potrebbe quindi comportare un pregiudizio a una o più categorie di azioni o di quote.
La questione principale affrontata nella massima è se gli aumenti di capitale non proporzionali (nel senso anzidetto) siano di per sé soggetti alla regola dell’art. 2376 c.c., richiedendo in ogni caso l’approvazione delle assemblee speciali di tutte le categorie esistenti, oppure se anche questa peculiare modificazione statutaria sia soggetta al vaglio caso per caso della sussistenza del pregiudizio ai diritti di una o più delle categorie esistenti, da effettuare con riferimento ai diritti che connotano ciascuna delle categorie di azioni o di quote.
L’interpretazione accolta dalla massima è nel senso che non sussista alcuna “presunzione” di pregiudizio ex art. 2376 c.c. qualora sia deliberato un aumento di capitale non proporzionale, con o senza il diritto di opzione, e che quindi tale deliberazione non richieda di per sé l’approvazione delle assemblee speciali di tutti le categorie esistenti. Invero, come in tutti i casi di modificazioni statutarie, occorre verificare, in concreto, caso per caso, l’eventuale sussistenza del pregiudizio, in relazione ai diritti diversi attribuiti a ciascuna categoria, ai sensi dell’art. 2348 c.c. Altra questione, una volta accolta tale interpretazione, è poi indagare quali siano i criteri per individuare i pregiudizi rilevanti ai sensi dell’art. 2376 c.c., nel quadro del risalente dibattito circa la distinzione tra pregiudizi diretti e indiretti, nonché tra pregiudizi di diritto e di fatto. Ma si tratta appunto di altra questione: in questa sede occorre ora giustificare e argomentare l’interpretazione sopra esposta, unitamente ai corollari che da essa dipendono.
2.— Il primo argomento che milita nel senso dell’assenza di una “presunzione” di pregiudizio in caso di aumento non proporzionale è di carattere letterale. Il Codice Civile non effettua alcuna distinzione tra le diverse modificazioni statutarie, ai fini dell’applicazione della regola dell’approvazione delle assemblee speciali. Non vi sono casi, nella disciplina legale, in cui si possa o si debba prescindere dalla verifica della sussistenza del pregiudizio, ai sensi dell’art. 2376 c.c., per limitare la competenza dell’assemblea straordinaria generale ad assumere la modificazione statutaria.
Sul piano sistematico, l’interpretazione viene confermata dal fatto che la medesima soluzione – ossia la necessità della verifica in concreto della sussistenza del pregiudizio – parrebbe essere accolta anche dal legislatore unionale. Infatti, l’art. 68, comma 3, Dir. UE 1132/2017 (che riproduce la norma già presente nella Seconda Direttiva in materia societaria del 1978), prevede espressamente che “Se esistono più categorie di azioni, la decisione dell’assemblea concernente l’aumento di capitale di cui al paragrafo 1 o l’autorizzazione di aumentare il capitale di cui al paragrafo 2 è subordinata ad una votazione separata almeno per ciascuna categoria di azionisti i cui diritti siano lesi dall’operazione”. Come si vede, la norma della direttiva non impone agli Stati Membri di prevedere la necessità dell’approvazione delle assemblee speciali in tutti i casi di aumento di capitale né con riferimento a tutte le categorie esistenti, bensì solo nei casi in cui vi siano categorie di azionisti i cui diritti siano lesi dall’operazione, ossia solo se e nei limiti in cui sussista un pregiudizio per una o più categorie di azioni. Può dunque darsi il caso di aumenti di capitale che comportino un pregiudizio solo per alcune categorie e non per altre (rendendosi quindi necessaria l’approvazione solo delle categorie interessate), così come può darsi il caso di aumenti di capitale che non comportino alcun pregiudizio per tutte le categorie esistenti (non rendendosi quindi necessaria alcuna approvazione delle assemblee speciali).
La rilevanza di questo argomento sistematico è avvalorata, sul piano comparatistico, dalla lettura del § 182, comma 2, AktG, là dove, con riferimento a tutte le ipotesi di aumento di capitale a pagamento, si dispone che: “quando esistono più categorie di azioni con diritto di voto, la deliberazione dell’assemblea dei soci richiede per la sua efficacia il consenso degli azionisti di ciascuna categoria. Gli azionisti devono esprimere il proprio consenso con una deliberazione speciale”. In presenza di una norma di tal fatta, si può affermare che il legislatore introduca una sorta di “presunzione assoluta” circa l’idoneità delle delibere di aumento di capitale a pregiudicare i diritti degli azionisti di tutte le categorie esistenti, a prescindere dalla verifica in concreto dell’effettivo pregiudizio che essa possa comportare. In altre parole, secondo questa regola, le diverse categorie di azioni avrebbero un “diritto al rango”, nel senso che la stessa composizione del capitale sociale e la proporzione quantitativa delle categorie di azioni non possono essere variate, tramite un aumento di capitale a pagamento, se non previa approvazione delle relative assemblee speciali.
Questa soluzione normativa potrebbe forse essere considerata opportuna, nella misura in cui essa evita la difficile valutazione della sussistenza del pregiudizio, caso per caso, in tutte le ipotesi di aumento di capitale: la potenziale “pericolosità” di tale operazione giustificherebbe cioè la presunzione legale del pregiudizio e la conseguente regola della necessità dell’approvazione da parte di tutte le categorie esistenti, ogni qual volta si deliberasse un aumento di capitale (e a maggior ragione un aumento “non proporzionale”). Del resto, proprio questa ragione di “opportunità” può forse aver indotto parte della dottrina, anteriore alla Seconda Direttiva del 1978, a reputare applicabile anche nel diritto italiano, in via interpretativa, la medesima regola.
Tuttavia, essa rimane una scelta legislativa ben diversa da quella fatta propria dal legislatore europeo nel 1978 (poi confluita nel testo unificato del 2017) e confermata dal legislatore italiano, allorquando si trattò di adeguare il diritto interno alla direttiva comunitaria. Si noti, infatti, che il d.p.r. 30/1986 lasciò invariato l’art. 2376 c.c. – norma generale che richiede l’approvazione delle assemblee speciali solo in presenza di un pregiudizio di una o più categorie – reputandolo conforme alla norma europea che imponeva di subordinare gli aumenti di capitale all’approvazione delle assemblee speciali “almeno per ciascuna categoria di azionisti i cui diritti siano lesi dall’operazione”.
3. — Gli argomenti letterali, sistematici e comparatistici sono in qualche modo confermati e avallati anche da considerazioni di carattere funzionale. Ciò nel senso che – pur nella potenziale “pericolosità” degli aumenti di capitale in presenza di più categorie di azioni o quote, soprattutto se trattasi di aumenti non proporzionali e/o con esclusione del diritto di opzione – si può senz’altro affermare che possano esservi ipotesi di aumenti non proporzionali e/o con esclusione del diritto di opzione che non comportano alcun pregiudizio ad alcuna categoria di azioni.
È chiaro che laddove i diritti diversi delle categorie di azioni o quote abbiano ad oggetto la partecipazione agli utili e ai risultati economici della società, la probabilità che sussista un pregiudizio è maggiore. Si pensi al tradizionale esempio, tratto da autorevole dottrina, di una società con una categoria di azioni alla quale spetta il 60 per cento degli utili complessivi e un’altra categoria alla quale spetta il residuo 40 per cento degli utili. Laddove venisse aumentato il capitale sociale con emissione di azioni di una sola delle due categorie, lasciando invariata la percentuale complessiva degli utili ad essa spettante, sarebbe evidente il pregiudizio derivante dalla conseguente riduzione proporzionale della quota di utili spettanti alle azioni della categoria medesima.
Ma ciò non può dirsi sempre vero, non solo perché il novero della tipologia dei “diritti diversi” che possono connotare una categoria di azioni si è palesemente ampliato con la riforma del 2003 e con la modifica dell’art. 2348 c.c. (ove si dispone che lo statuto “può liberamente determinare il contenuto delle azioni delle varie categorie”), ma anche perché può darsi il caso di categorie di azioni differenziate nei propri diritti patrimoniali, che non siano assolutamente pregiudicate in caso di variazione del loro “rango” proporzionale o anche in caso di creazione di nuove categorie con ulteriori diritti patrimoniali.
Si pensi al caso in cui il capitale sia diviso in azioni ordinarie e azioni riscattabili dalla società, ai sensi dell’art. 2437-sexies c.c., allorché venga deliberato un aumento di capitale con emissione di sole azioni ordinarie. Pare evidente, in un caso come questo, che nessun pregiudizio potrebbe derivare ai diritti di entrambe le categorie, diritti che non sono in alcun modo influenzati dal numero di azioni esistenti e dalla loro ripartizione proporzionale. Si pensi anche al caso in cui il capitale sia diviso in azioni ordinarie, cui compete ex lege il diritto di nominare gli organi sociali con deliberazione assunta in sede di assemblea ordinaria, e in azioni senza voto alle quali lo statuto attribuisce il diritto di designare un componente dell’organo amministrativo. Anche in tal caso, non potrebbe ravvisarsi alcun pregiudizio ai diritti di entrambe le categorie qualora l’assemblea straordinaria generale deliberasse un aumento di capitale con emissione di sole azioni ordinarie.
Parimenti, anche in contesti in cui i diritti diversi che connotano le categorie abbiano ad oggetto la partecipazione agli utili, non è detto che un aumento non proporzionale comporti necessariamente un pregiudizio. Si immagini che una holding di investimento abbia il capitale sociale diviso in categorie di azioni correlate, ai sensi dell’art. 2350, comma 2, c.c., ciascuna di esse aventi diritti patrimoniali derivanti da un singolo investimento effettuato dalla holding. Ebbene, anche in tal caso, un aumento di capitale che dia luogo all’incremento di una sola delle categorie di azioni o all’emissione di una nuova categoria di azioni correlata a un nuovo investimento non sarebbe suscettibile di comportare alcun pregiudizio a nessuna delle categorie esistenti, che manterrebbero invariati i propri diritti diversi, in quanto correlati allo specifico investimento per il quale sono state emesse.
Su un diverso piano di indagine va giustificata l’affermazione che anche la esclusione del diritto di opzione, in ogni caso di aumento di capitale sociale deliberato da una società avente una pluralità di categorie di azioni o di quote, non comporta di per sé un pregiudizio alle categorie esistenti. Fermo restando il fatto che anche in presenza di diverse categorie di azioni il diritto di opzione spetta comunque a tutti gli azionisti ai sensi dell’art. 2441 c.c. (e sul punto si veda la successiva massima n. …), si deve, infatti, ritenere che l’offerta delle nuove azioni ai soci in opzione oppure a terzi con esclusione del diritto di opzione non sia comunque in grado di incidere sui diritti di una o più categorie. Ciò vale sia nel caso, pur poco frequente, di aumento proporzionale con esclusione del diritto di opzione (giacché il rapporto tra le diverse categorie rimarrebbe il medesimo, anche dal punto di vista quantitativo), sia nel caso dell’aumento non proporzionale con esclusione del diritto di opzione. Anche in tal caso, infatti, si tratterebbe di vedere se in concreto vi sia un pregiudizio ai diritti della categoria (al pari di ogni aumento non proporzionale, in opzione), risultando indifferente a tal fine chi siano i destinatari dell’offerta o gli effettivi sottoscrittori delle azioni in sede di esecuzione dell’aumento di capitale.
Tutto ciò porta a confermare la tesi sostenuta dalla massima, in forza della quale le deliberazioni di aumento di capitale sociale, quand’anche diano luogo all’emissione non proporzionale di azioni o quote delle diverse categorie o siano offerti con esclusione del diritto di opzione, sono suscettibili di comportare un pregiudizio a una o più categorie di azioni o quote in dipendenza dei diritti ad esse concretamente spettanti, da valutare quindi in base una verifica caso per caso, senza che possa ritenersi sussistente alcun “diritto al rango” delle azioni, né alcuna presunzione circa la sussistenza di un pregiudizio rilevante ai fini della necessaria approvazione delle assemblee speciali ai sensi dell’art. 2376 c.c.
4. — Pur non esistendo una presunzione legale di “pregiudizievolezza” per gli aumenti di capitale, nemmeno se non proporzionali o se con esclusione del diritto di opzione, può esservi un forte interesse a che lo statuto preveda espressamente la necessità dell’approvazione delle assemblee speciali. Ciò può rispondere all’esigenza sia di limitare la libertà dell’assemblea straordinaria generale di deliberare aumenti di capitale non proporzionali o con esclusione del diritto di opzione, sia di ridurre i margini di incertezza nell’interpretazione del caso concreto, al fine di stabilire se occorra o meno l’approvazione delle assemblee speciali.
La massima, a tal riguardo, afferma la legittimità di alcune esemplificazioni di tali clausole, con particolare riguardo alle clausole che prevedono: (i) che sia necessaria l’approvazione delle assemblee speciali per qualsiasi aumento di capitale, proporzionale o non proporzionale; (ii) che sia necessaria l’approvazione delle assemblee speciali solo in caso di aumenti di capitale non proporzionali, con o senza esclusione del diritto di opzione; (iii) che l’aumento di capitale debba essere in ogni caso proporzionale. Esse peraltro non costituiscono un numerus clausus, ben potendosi immaginare ulteriori variabili rispetto a quelle indicate nella massima.
Ciò che è bene sottolineare è la differente natura che siffatte clausole possono assumere, a seconda dei diritti che connotano le diverse categorie di azioni o quote nel caso concreto della società che le adotta. Infatti, qualora i diritti diversi delle categorie di azioni o quote fossero tali da essere pregiudicati da un aumento di capitale non proporzionale, le clausole in parole avrebbero natura essenzialmente ricognitiva, posto che la regola della necessaria approvazione delle assemblee speciali troverebbe comunque applicazione anche qualora esse non esistessero. La loro funzione, peraltro, non può essere sottovalutata, in quanto esse comportano una significativa riduzione dell’incertezza interpretativa e applicativa ogni qual volta ci si accinga a deliberare un aumento di capitale.
Qualora invece i diritti diversi delle categorie esistenti non fossero tali da subire alcun pregiudizio dall’aumento di capitale non proporzionale (o da qualsiasi ipotesi di aumento di capitale), le clausole sopra ipotizzate sarebbero attributive di un ulteriore “diritto diverso” nei confronti di tutte le categorie di cui viene richiesta l’approvazione in sede di assemblea speciale. Sarebbe un po’ come dire che, pur in mancanza di alcun pregiudizio, all’assemblea speciale di categoria verrebbe attribuita una competenza aggiuntiva – ossia quella di approvare l’aumento di capitale deliberato dall’assemblea straordinaria generale – che non spetterebbe loro in virtù delle regole del regime legale derivante dall’art. 2376 c.c. (con ciò attuandosi una fattispecie già considerata, e ritenuta legittima, nella precedente massima n. 161 in data 11 aprile 2017).
5. — Sulla falsariga di quanto sopra affermato, può infine darsi conto di un’esigenza analoga, seppur inversa, rispetto a quella di prevedere espressamente nello statuto la necessità dell’approvazione delle assemblee speciali. A tal riguardo, la massima sostiene la legittimità delle clausole statutarie che escludono la necessità dell’approvazione delle assemblee speciali ai sensi dell’art. 2376 c.c. in tutti i casi di aumento di capitale non proporzionale, con o senza diritto di opzione, oppure in alcuni determinati casi di aumento di capitale non proporzionale, rendendola invece sempre necessaria nelle residue ipotesi di aumento non proporzionale.
L’esclusione statutaria della necessità dell’approvazione dell’assemblea speciale di una o più categorie, in caso di aumento di capitale non proporzionale, ha visto importanti esempi anche nell’ambito delle società quotate, soprattutto in seguito all’introduzione normativa della categoria delle azioni di risparmio o comunque con riferimento alla categoria delle azioni privilegiate “vecchia maniera” (ossia delle azioni con privilegi negli utili e voto limitato nelle sole assemblee straordinarie, ai sensi del previgente art. 2351 c.c., prima della riforma del 2003). Esse paiono peraltro replicabili anche con riferimento alla grande varietà delle categorie di azioni “atipiche” conosciute nelle s.p.a. chiuse, dopo l’ampliamento dell’autonomia statutaria consacrato dal nuovo art. 2348 c.c., escludendo espressamente la necessità dell’autorizzazione delle assemblee speciali (o di alcune assemblee speciali) nei casi di aumento di capitale non proporzionale (o in alcuni casi di aumento di capitale non proporzionale).
Anche in tal caso, ovviamente, la clausola potrebbe presentare diversa natura. Se infatti, nel caso concreto, l’aumento di capitale non proporzionale non fosse pregiudizievole, tenuto conto dei diritti attribuiti alle diverse categorie di azioni, la clausola avrebbe nuovamente una natura meramente ricognitiva, con l’effetto di evitare dubbi interpretativi circa gli effetti dell’aumento sui diritti delle categorie di azioni o quote. Se invece la clausola fosse suscettibile di trovare applicazione anche con riferimento ad aumenti di capitale che sarebbero astrattamente pregiudizievoli, la clausola non sarebbe meramente ricognitiva di una regola già applicabile ex lege, bensì comporterebbe una deroga al regime legale, rendendo superflua l’approvazione dell’assemblea speciale della o delle categorie di azioni o di quote potenzialmente lese dalla deliberazione di aumento non proporzionale.
La legittimità di siffatta clausola, anche in queste ipotesi, potrebbe essere messa in dubbio sostenendo l’assoluta inderogabilità dell’art. 2376 c.c., quale tutela ineliminabile dei diritti diversi delle categorie di azioni o quote. A ben vedere, tuttavia, l’inderogabilità di tale norma dovrebbe essere intesa in senso diverso.
È vero che si potrebbe seriamente dubitare della legittimità di una clausola statutaria che derogasse tout court all’art. 2376 c.c., prevedendo che qualsiasi modificazione statutaria deliberata dall’assemblea straordinaria generale non richiede l’approvazione dell’assemblea speciale di una determinata categoria (o di tutte le categorie di azioni o quote), quand’anche pregiudizievole dei diritti di categoria. In questa accezione la norma in parola potrebbe essere considerata indisponibile dall’autonomia statutaria, sebbene la sussistenza della causa legale di recesso di cui all’art. 2437, comma 1, lett. g), c.c. potrebbe convincere della possibilità di far venir meno la tutela “collettiva” a fronte della inderogabile tutela “individuale” garantita per ogni azionista in caso di modificazione dei diritti di voto e di partecipazione.
Il caso in questione, comunque, è diverso e non sembra porre analoghi problemi di ammissibilità. Non si tratta infatti di eliminare la tutela collettiva derivante dalla regola dell’art. 2376 c.c., bensì di renderla inapplicabile solo in alcuni specifici casi e solo in conseguenza di aumenti di capitale non proporzionali, che non comportano quindi una modifica della regola organizzativa da cui deriva il diritto diverso della o delle categorie di azioni o quote. Solo in questi limiti, pertanto, il diritto diverso attribuito alla categoria sarebbe fin dall’origine sacrificabile dalla maggioranza dell’assemblea straordinaria generale, anche senza approvazione della relativa assemblea speciale. Il che val quanto dire che lo specifico diritto diverso della categoria nasce già con una minore ampiezza, essendo suscettibile di una parziale modifica (quella cioè dipendente dalla variazione proporzionale del numero delle azioni delle diverse categorie) in dipendenza di una deliberazione di aumento di capitale non proporzionale.