MASSIMA
Nelle s.r.l. PMI è legittimo prevedere che il capitale sociale sia diviso in un numero predeterminato di quote (o di quote di diverse categorie), tutte di uguale misura, senza indicazione del valore nominale.
È parimenti legittimo che lo statuto disciplini le regole degli arrotondamenti eventualmente necessari per l’attuazione della pubblicità legale, purché essi assicurino (a) il rispetto del principio di parità di trattamento tra i soci; e (b) il minor scostamento possibile dal risultato non arrotondato.
MOTIVAZIONE
1. – La norma che prevede che le s.r.l. PMI possano emettere “categorie di quote” consente a tali società – secondo l’interpretazione sostenuta da questa Commissione con la Massima n. 171 e dalla prevalente dottrina – di suddividere il capitale sociale in un numero predeterminato di quote standardizzate (o di quote standardizzate di diverse categorie), tutte di uguale “misura”. Di norma, la “misura” di tali quote standardizzate è indicata in statuto, facendo riferimento al loro valore nominale, con una tecnica del tutto simile a quella in uso nelle s.p.a., là dove il valore nominale, uguale per tutte le azioni, è il risultato della divisione dell’ammontare del capitale sociale per il numero di azioni in cui esso è suddiviso.
La massima affronta la questione se sia necessario connotare le singole quote standardizzate con un valore nominale avente rilevanza statutaria, oppure se sia possibile prevedere che il capitale sociale sia diviso in un determinato numero di quote, tutte di uguale misura, senza tuttavia indicazione del valore nominale, analogamente a quanto consentito alle s.p.a. dall’art. 2346, comma 4, c.c.
La possibilità di non indicare in statuto il valore nominale delle quote rende più agevoli alcune operazioni sul capitale sociale, che risulterebbero vincolate dall’espressione del valore nominale delle quote; inoltre, consente l’esecuzione di altre operazioni sul capitale e sulle quote sociali, che altrimenti risulterebbero precluse.
Con riferimento alle facilitazioni operative rispetto alle operazioni sul capitale, si pensi alle fattispecie analizzate dalla dottrina (e in parte anche da questa Commissione) nelle quali è possibile operare modificando solo il numero di “pezzi” in cui è diviso il capitale sociale, senza alterare il valore nominale del medesimo: si vedano in tal senso, per rinviare solo ad alcuni spunti, gli orientamenti di questa Commissione espressi nelle massime 37 (Annullamento di azioni proprie senza riduzione del capitale sociale), 146 (Riserva negativa azioni proprie: effetti in caso di annullamento delle azioni proprie), 169 (Emissione di azioni e conversione in azioni, senza aumento del capitale sociale), 170 (Aumento del capitale sociale con “earn out” e “bonus shares”) e 190 (Azioni e quote «auto-estinguibili»), le cui considerazioni e conclusioni possono qui essere trasposte, mutatis mutandis.
Con riferimento alle operazioni che invece sarebbero precluse, ci si riferisce alla empirica considerazione che – talvolta – adottare come unità minima di misura il centesimo di euro non basta. L’esperienza delle start up da un lato e del crowdfunding dall’altro ci portano ad osservare come il mercato richieda la capacità di individuare ed offrire una quota di partecipazione al capitale sociale anche quando il valore nominale della stessa risulti inferiore al centesimo di euro. Sono molteplici, infatti, gli esempi di società con un capitale sociale di importo nominale ridottissimo a fronte di valori stimati ai fini delle operazioni sul capitale esprimibili in milioni di euro: ove non fosse possibile sottoscrivere una partecipazione di misura (intesa come rapporto di partecipazione al capitale complessivo) inferiore al centesimo di euro, vi sarebbe il rischio di disincentivare tutta una platea di investitori.
Di qui l’interesse, in presenza soprattutto di queste circostanze, ad emettere quote di s.r.l. standardizzate senza indicazione del valore nominale. Se è vero che tutte le quote standardizzate devono avere uguali caratteristiche, diritti e attribuzioni (eventualmente con le rispettive diversità declinate in forma di categorie di quote), esse potrebbero comunque avere la medesima misura, a prescindere dall’espressa indicazione statutaria del loro valore nominale.
2. – L’indicazione del valore nominale delle partecipazioni sociali delle s.r.l. non è prevista da alcuna norma del Codice Civile, né nell’atto costitutivo, né nell’eventuale statuto (anch’esso peraltro non previsto espressamente dal Codice Civile), né nelle vicende soggette a obbligo di pubblicità legale mediante deposito per l’iscrizione nel Registro delle Imprese. La prassi, tuttavia, sulla base della disciplina secondaria che regola le formalità pubblicitarie, ha superato il dibattito dottrinale emerso a ridosso della riforma del 2003 in ordine alla necessità di indicazione o meno del valore nominale per le s.r.l. senza quote standardizzate: la circostanza che la modulistica di iscrizione nel Registro delle Imprese imponga di indicare, ogni volta che si compila un elenco soci e/o una variazione dello stesso, l’importo nominale della quota di partecipazione dei soci interessati dalla comunicazione ha portato a ritenere naturale e fisiologica l’indicazione del valore nominale della partecipazione stessa.
La questione è tuttavia diversa, da un lato nelle s.r.l. con quote non standardizzate e dall’altro in quelle con quote standardizzate.
Nelle prime, infatti, l’indicazione del valore nominale delle partecipazioni sociali non assume mai rilevanza di regola statutaria, bensì rappresenta unicamente la tecnica con la quale l’atto costitutivo determina la misura delle partecipazioni dei soci fondatori, senza che la loro successiva modifica (ad esempio in caso di cessione parziale di una partecipazione) sia assoggettata alle norme sulle modificazioni dell’atto costitutivo (ossia delle regole durevoli contenute nell’atto costitutivo, comunemente denominate regole “statutarie”).
Nelle s.r.l. con quote standardizzate, invece, l’indicazione del valore nominale (ove presente) di tutte le quote standardizzate assume rilevanza statutaria e costituisce un elemento dell’atto costitutivo la cui modificazione è soggetta alla disciplina delle modificazioni statutarie, ai sensi dell’art. 2480 c.c. Tuttavia, si può ritenere che – in assenza di previsioni normative che obbligano a indicare il valore nominale nell’atto costitutivo e/o nello statuto di s.r.l. con quote non standardizzate – l’indicazione o meno del valore nominale delle quote costituisca una libera scelta organizzativa. A prescindere dall’indicazione del valore nominale, infatti, le quote standardizzate mantengono la caratteristica di rappresentare una uguale parte del capitale sociale, pari alla frazione avente come denominatore il numero totale delle quote in cui è ripartito il capitale sociale (di talché tale frazione costituisce appunto la “misura” di ciascuna delle quote standardizzate in cui è suddiviso il capitale).
A sostegno di siffatta interpretazione si possono individuare diversi argomenti. Anzitutto, la tesi qui sostenuta pare in linea con il tendenziale favor per l’autonomia negoziale e statutaria, ben presente nella disciplina delle s.r.l. In secondo luogo, sul piano funzionale, il ricorso a questa modalità di strutturare la misura delle partecipazioni sociali realizza un interesse meritevole di tutela, in assenza di alcun potenziale sacrificio di interessi dei soci o dei terzi. Infine, risulta decisivo, in una materia dove pare potersi parlare di una assenza della disciplina legale dettata per le s.r.l., il ricorso all’applicazione analogica della norma espressamente dedicata a questo tema in relazione alle s.p.a., in presenza di una quasi perfetta similitudine della configurazione delle partecipazioni in cui viene suddiviso il capitale sociale.
3. – Con riferimento alla seconda affermazione contenuta nella massima, ossia in ordine alla legittimità di previsioni statutarie che evitino impasse nella concreta applicazione dei meccanismi degli adempimenti pubblicitari, si è inteso confermare quanto già di fatto viene operato dalla prassi. Senza voler entrare nel tema degli arrotondamenti e del loro rapporto con l’esercizio proporzionale dei diritti sociali, tema che risulta trasversale sia alle società per azioni che alle s.r.l. e non è oggetto di questa massima, pare opportuno soffermarsi velocemente sulle modalità e sugli accorgimenti richiesti per la pubblicità nel Registro delle Imprese in presenza di quote standardizzate senza indicazione del valore nominale. Allo stato, infatti, la modulistica per gli adempimenti pubblicitari delle s.r.l., contrariamente a quanto avviene per le s.p.a., non consente di indicare il numero di quote complessivo in cui è suddiviso il capitale sociale, né il numero di quote di cui ogni socio sia titolare, bensì impone di indicare solo il valore nominale complessivo dell’intera partecipazione detenuta. Ne consegue che:
– in caso di quote standardizzate, con indicazione del valore nominale, una volta pubblicizzata adeguatamente la partecipazione di un socio (con eventuale specificazione, nel riquadro “Note” dell’Intercalare P della domanda di iscrizione, del numero di quote e dell’eventuale categoria di appartenenza), detta partecipazione non andrà variata in occasione di operazioni sul capitale che (a) non coinvolgano il socio e (b) non comportino una modifica del valore nominale complessivo delle sue quote. Infatti, il valore nominale della partecipazione complessiva deriva dalla mera moltiplicazione tra il numero di quote de-tenuto e il valore nominale di tutte le quote standardizzate, indicato nello statuto;
– in caso di quote standardizzate, senza indicazione del valore nominale, invece, a ogni variazione del numero di quote complessivo, indipendentemente dalla circostanza che il socio in esame partecipi o meno all’evento che determina la variazione del numero di quote complessivo, potrà variare anche l’ammontare nominale complessivo della sua partecipazione, poiché esso è determinato, in ogni dato momento, dalla divisione dell’ammontare del capitale sociale per il numero complessivo di quote, moltiplicato per il numero di quote detenute da ciascun socio. Ne deriva che, fino a quando non sarà modificata la modulistica ministeriale, in esito a ogni operazione sul capitale (ad esempio ai fini della comunicazione di sottoscrizione di un aumento di capitale) potrebbe rendersi necessario pubblicare nuovamente l’intero elenco soci, con l’indicazione dell’ammontare nominale complessivo delle partecipazioni di tutti i soci.
In entrambi i casi sopra analizzati, l’indicazione (nella modulistica del Registro delle Imprese) dell’ammontare nominale complessivo della partecipazione di ciascun socio dovrà essere effettuata in centesimi di euro, essendo questa l’unità minima di misura contemplata dal Registro delle Imprese. A ragione di ciò, è fisiologico che vi dovranno essere degli arrotondamenti finalizzati alla quadratura dell’elenco soci per la sua pubblicazione (in modo non diverso da come avviene in una s.r.l. non PMI in presenza di tre soci titolari della quota di un terzo ciascuno di un capitale di euro diecimila): a qualche socio dovrà essere attribuito ai soli fini della pubblicità un centesimo in più o in meno nell’indicazione nel Registro delle Imprese.
Su questa considerazione si incentra la massima, esplicitando i due principi che devono guidare le regole di arrotondamento: da un lato, l’arrotondamento proposto deve applicarsi a tutti i soci, senza discriminazione alcuna; dall’altro, esso deve condurre al risultato che si discosti di meno dall’effettivo risultato non arrotondato. Tali regole sono espressione di principi trasversali e immanenti al sistema delle società di capitali: da un lato, i soci sono tutti uguali tra loro e devono quindi essere trattati in modo paritetico; dall’altro, bisogna evitare che vi sia l’affidamento da parte di terzi su risultanze dei pubblici registri non allineate alla realtà fattuale.
In concreto, l’applicazione dei principi enunciati potrà portare redigere apposite clausole statutarie nelle quale vengono previste le regole di arrotondamento (ad es. per eccesso se il terzo decimale è uguale o superiore a 5, per difetto negli altri casi) e i necessari correttivi che individuano il o i soci ai quali aggiungere o togliere l’eventuale centesimo necessario per quadrare l’elenco soci così arrotondato.
NOTA BIBLIOGRAFICA
1. – In ordine alla possibilità che una S.r.l. PMI emetta quote standardizzate (tutte di uguale misura) si rinvia alla Massima 171 di questa Commissione, secondo la quale “lo statuto può liberamente stabilire che le quote di ciascuna categoria: (i) abbiano tutte la medesima misura […]”. L’ammissibilità di siffatta configurazione del capitale sociale delle S.r.l. PMI si dedurrebbe dalla terminologia impiegata dal legislatore nell’art. 26, co. 2, d.l. 18 ottobre 2012, n. 179, che “riproduce quasi testualmente il dettato dell’art. 2348 c.c. in tema di categorie di azioni”, e, d’altra parte, dallo stesso concetto di “categoria”, che introduce una connotazione standardizzata di partecipazioni sociali, cui ricondurre i diritti. In senso contrario si segnala invece la Massima I.N.6 della COMMISSIONE SOCIETÀ DEL COMITATO TRIVENETO, la quale argomenta attorno al principio di “unicità” della partecipazione sociale di S.r.l. (derivante dal divieto di suddividere il capitale sociale in azioni, formulato dall’art. 2468, comma 1, c.c.) per affermare che “risulterebbe priva di significato” la suddivisione del capitale sociale di una S.r.l. in un numero predeterminato di partecipazioni.
Non si rinvengono tuttavia orientamenti sullo specifico punto dell’ammissibilità di quote di S.r.l. standardizzate prive dell’indicazione del valore nominale.
2. – Sul tema della misura della partecipazione (non standardizzata) al capitale di una S.r.l., e più precisamente in ordine alla circostanza che tale partecipazione “debba”, “non debba” o “possa” essere espressa in termini nominali, con i connessi riflessi in ordine alla misura minima di partecipazione al capitale sociale, vi è stato ampio dibattito in dottrina subito dopo la riforma del diritto societario. Negli scritti più recenti (M. SCIUTO, “Le quote di partecipazione” in C. IBBA, G. MASARÀ (a cura di), Le società a responsabilità limitata, I, pp. 418 ss., Milano, 2020) si rileva come il legislatore abbia – in qualche modo – contribuito alla confusione tra gli interpreti, impiegando in modo vario e alternato le espressioni “quota di partecipazione”, “quota” e “partecipazione (sociale)”, cui fanno riferimento, rispettivamente, gli artt. 2481-ter e 2482-quater c.c., gli artt. 2466, 2470, 2481-bis e 2482 c.c. e gli artt. 2469 e 2471 ss. c.c. La stessa espressione “quota di partecipazione”, peraltro, si presta a utilizzi polisemici, potendo rappresentare ora la “rappresentazione di una frazione ideale del capitale sociale”, ora il “complesso di situazioni giuridiche che competono al socio”, ora un “oggetto di diritti, cioè bene”.
Interpretando le parole di alcuni autori (ad esempio, M. STELLA RICHTER JR., La società a responsabilità limitata. Disposizioni generali. Conferimenti. Quote, in AA.VV., Diritto delle società – Manuale breve, pp. 285 ss., Milano, 2006), i quali hanno affermato che il numero delle quote di una S.r.l. sia pari al numero dei suoi soci, così che ciascuno di essi divenga titolare di un’unica partecipazione, non di “misura costante”, ma di “misura variabile” in dipendenza dei conferimenti effettuati o delle successive vicende circolatore della partecipazione stessa, la prassi (anche notarile) si è orientata nel senso di indicare sempre la misura partecipazione al capitale sociale in termini nominali, anche al fine di agevolare gli adempimenti pubblicitari conseguenti. Infatti, le istruzioni per la compilazione della modulistica di deposito nel competente Registro delle Imprese – da ultimo, MINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICO, Circolare 3668/C del 2014 – dispongono che “ciascun socio è titolare di una unica quota che deve essere espressa indicando il valore nominale. A differenza delle azioni, le quote possono essere di diverso ammontare tra i soci. La quota va indicata – per ciascun socio – al valore nominale […]. Non è ammessa, salvo il caso della contitolarità, l’indicazione delle quote con una frazione sul capitale sociale. […]”.
Parte della dottrina (si veda, ad esempio, P. REVIGLIONO, Sub art. 2468. Quote di partecipazione, in G. COTTINO, G. BANFANTE, O. CAGNASSO, P. MONTALENTI (diretto da), Il nuovo diritto societario, p. 1800, Bologna, 2004) ha, però, valorizzato la circostanza che, con la riforma del diritto societario, non sia stata replicata la regola previgente che imponeva che la misura minima della quota di S.r.l. fosse di lire mille (poi euro 1,00) o suoi multipli: l’abrogazione della disposizione, secondo questi autori, permette oggi di esprimere il “valore” della quota di partecipazione in termini frazionari, anche alla luce di una lettura coordinata dell’art. 2463, n. 3, c.c., in cui si stabilisce che l’atto costitutivo deve indicare, genericamente, la “quota di partecipazione di ciascun socio”, senza dettare modalità obbligatorie di espressione o computo della quota. L’indi-cazione del valore nominale della partecipazione, quindi, resterebbe un dato implicito, esplicita-bile in funzione della “comodità” che tale indicazione assolve per gli adempimenti pubblicitari, ma non più una “necessità” della misura della partecipazione stessa.
Secondo altri autori, invece, l’indicazione frazionaria della quota di partecipazione costituirebbe non solo una facoltà, ma addirittura un obbligo, a fronte del divieto di modifica delle quote di partecipazione dei soci in caso di aumento di capitale gratuito e di riduzione del capitale per perdite: la misura della quota di partecipazione, intesa come l’espressione della quota in termini di valore nominale, è infatti destinata a variare in caso di riduzione del capitale per perdite o di aumento gratuito del capitale sociale, mentre per espressa disposizione di legge (artt. 2481-ter e 2482-quater c.c.) – in tali casi – la quota di partecipazione non deve variare (in questo senso, cfr. G. ZANARONE, Della società a responsabilità limitata, II, pp. 1594 ss., in P. SCHLESINGER (fondato da), F. D. BUSNELLI (diretto da), Il codice civile commentato, Milano, 2010 e G. PINNA, Commento all’art. 2481 quater, in A. MAFFEI ALBERTI (a cura di), Il nuovo diritto delle società, III, Padova, 2005, p. 2132). Il valore nominale della partecipazione ad una S.r.l. sarebbe quindi un dato da calcolare a posteriori, in funzione della quota di cui ciascun socio è titolare. In pari direzione, si veda la Massima I.I.35 della COMMISSIONE SOCIETÀ DEL COMITATO TRIVENETO, ove si sottolinea come le quote di partecipazione alla S.r.l. siano caratterizzate dall’ “assenza di un loro valore nominale esplicito”. [nota bibliografica a cura di FEDERICO MOTTOLA LUCANO]