MASSIMA
Le clausole statutarie di s.p.a. e di s.r.l. che vietano il trasferimento parziale delle azioni o della partecipazione del socio alienante – e che quindi subordinano il trasferimento alla condizione che il socio alienante trasferisca tutte le azioni o l’intera partecipazione di cui è titolare – sono legittime e non integrano un “divieto” di alienazione, ai sensi dell’artt. 2355-bis, comma 1, c.c., né un’ipotesi di “intrasferibilità” delle partecipazioni, ai sensi dell’art. 2469, comma 2, c.c.
Pertanto: (i) nelle s.p.a., la loro introduzione nello statuto dà luogo alla causa legale di recesso di cui all’art. 2437, comma 2, lett. b), c.c., ove lo statuto non disponga diversamente; (ii) nelle s.r.l., esse non danno luogo al diritto di recesso, né ai sensi dell’art. 2469, comma 2, c.c., né al momento della loro introduzione nello statuto, non essendo contemplata tale fattispecie tra le cause legali di recesso ai sensi dell’art. 2473 c.c.
MOTIVAZIONE
1.– La massima prende in esame le clausole statutarie di s.p.a. e s.r.l. che vietano l’alienazione parziale delle azioni o della partecipazione di cui è titolare ciascun socio. A seconda delle finalità che siano in concreto perseguite, tali clausole possono poi divergere a seconda che esse – fermo restando il divieto di alienazione parziale da parte dell’alienante – consentano o meno l’acquisto (contestuale) delle azioni o della partecipazione da parte di una pluralità di acquirenti e non solo da un medesimo soggetto acquirente.
Ove ciò sia consentito, lo scopo della clausola può essere ravvisato essenzialmente nella volontà di evitare il disinvestimento parziale da parte del socio uscente, al quale verrebbe quindi posta l’alternativa tra mantenere la propria partecipazione oppure dismetterla integralmente. Ove non sia invece consentita l’alienazione della propria (intera) partecipazione a una pluralità di soggetti, alla finalità predetta si aggiungerebbe anche lo scopo di evitare un eccessivo frazionamento delle partecipazioni sociali: la circolazione delle azioni, in altre parole, non potrebbe dar luogo alla creazione di partecipazioni di “misura” inferiore a quella sussistente al momento di introduzione della clausola. Resta fermo, nelle s.p.a., che l’unità minima delle partecipazioni sociali è data dalle singole azioni in cui è suddiviso il capitale sociale, che permarrebbero ad avere rilevanza per gli altri aspetti, diversi dalla circolazione, nell’ambito dell’organizzazione sociale, come si avrà modo di vedere nel prosieguo della motivazione.
Le clausole di intrasferibilità parziale delle azioni o quote non pongono questioni identiche alla luce della disciplina delle s.r.l. e delle s.p.a.
Nelle s.r.l. la loro ammissibilità deriva dalla diretta applicazione della legge, in quanto l’art. 2469, comma 2, c.c., contempla espressamente la possibilità che “l’atto costitutivo preveda l’intrasferibilità delle partecipazioni”, rendendo quindi pacifica, a maggior ragione, la legittimità delle clausole di intrasferibilità (non assoluta, bensì) parziale delle partecipazioni. La questione risiede dunque nel verificare se esse siano comunque qualificabili come clausole di intrasferibilità ai fini della sussistenza del diritto di recesso previsto dallo stesso art. 2469, comma 2, c.c. La massima dà risposta negativa, ritenendo che il divieto parziale non sia annoverabile nella nozione di intrasferibilità, e sostiene dunque l’ammissibilità di tali clausole anche se accompagnate da un’espressa esclusione della facoltà di recesso.
Nelle s.p.a., invece, si pone proprio la questione della legittimità della clausola statutaria di intrasferibilità parziale, giacché la legge non consente, come nelle s.r.l., le clausole di divieto assoluto di trasferimento delle azioni. L’art. 2355-bis, comma 1, c.c., infatti, prevede che lo statuto possa vietarne il trasferimento solo “per un periodo non superiore a cinque anni dalla costituzione della società o dal momento in cui il divieto viene introdotto”. Per converso, ove si ritenesse ammissibile la clausola di intrasferibilità parziale – come affermato nella massima – sarebbe poi pacifica la sussistenza del diritto di recesso ai sensi dell’art. 2437, comma 2, lett. b), c.c., nel momento in cui essa viene introdotta nello statuto sociale, sempre che lo statuto non escluda l’applicabilità di tale causa di recesso legale (derogabile).
Conviene dunque esaminare separatamente le argomentazioni a sostegno della massima, cominciando dalle s.r.l., per poi passare alle s.p.a.
2.– Per quanto riguarda le s.r.l., la soluzione sostenuta nella massima è coerente con quella già fornita dalla Commissione con la Massima 152, in tema di divieto temporaneo di trasferimento di partecipazioni. In quella sede si ebbe modo di rilevare che la locuzione utilizzata dall’art. 2469 c.c. “si riferisce nel suo tenore letterale alla sola intrasferibilità assoluta, e cioè al caso di divieto, appunto, assoluto di trasferimento della partecipazione. Ciò si evince non solo dal significato piano delle parole utilizzate (la “intrasferibilità” delle partecipazioni è locuzione che di per sé evoca divieto di trasferimento senza eccezioni o limiti), ma anche dalla formulazione della fattispecie immediatamente successiva prevista dalla stessa norma. Descrivendo la clausola di gradimento idonea ad attribuire recesso, la norma infatti ha cura di precisare che si deve trattare di gradimento che non preveda “condizioni o limiti”, e così assicura che il gradimento che invece tali limiti o condizioni preveda non renda operante la causa di recesso. Una lettura coerente delle due fattispecie legittimanti il recesso previste dalla norma porta dunque a confermare la tesi secondo cui costituisce causa di recesso solo la clausola di intrasferibilità assoluta, e cioè quella che vieti la circolazione della partecipazione senza limiti e senza eccezioni.”
Tali considerazioni possono essere pari pari ripetute per le clausole in esame, le quali, consentendo comunque la cessione della partecipazione (seppur solamente l’intera partecipazione), non sono senza dubbio qualificabili come clausole di intrasferibilità assoluta.
A queste considerazioni, inoltre, si può aggiungere un argomento sistematico che pare decisivo. Nelle s.r.l., infatti, il divieto di trasferimento parziale delle partecipazioni, laddove non consenta il trasferimento a più acquirenti, equivarrebbe sostanzialmente alla indivisibilità delle partecipazioni sociali (ovvero, a qualcosa “di meno” della indivisibilità assoluta, allorché la clausola di intrasferibilità parziale fosse resa applicabile solo ad alcune tipologie di trasferimenti, ad es. quelli inter vivos, escludendone altri, ad es. quelli mortis causa). Ebbene, se è vero che il silenzio della legge sul punto della divisibilità delle partecipazioni sociali di s.r.l. è stato correttamente interpretato come indice di “naturale” divisibilità delle medesime (o al più, secondo le tesi più rigorose come indice di “naturale” indivisibilità, salvo diversa disposizione dell’atto costitutivo), è altrettanto vero che non si dubita della legittimità di clausole che espressamente dispongano la indivisibilità, anche assoluta, delle partecipazioni sociali. Il che potrebbe dunque essere conseguito, eventualmente solo in parte, proprio tramite una clausola di intrasferibilità parziale da parte del medesimo socio, la cui legittimità risulta dunque senz’altro confermata.
3.– Per le s.p.a., l’art. 2355-bis c.c afferma che lo statuto può sottoporre a particolari condizioni il trasferimento delle azioni, mentre può vietare il trasferimento solo per un periodo non superiore a cinque anni dalla costituzione della società o dal momento in cui il divieto viene introdotto.
Anche in questo caso, seppur in un diverso contesto, si tratta dunque di stabilire se il divieto di trasferimento parziale possa essere equiparato a un divieto tout court di trasferire le azioni oppure se rimanga al di fuori dalla nozione di “divieto di trasferimento” ai sensi dell’art. 2355-bis c.c., essendo cioè qualificabile come una particolare condizione alla quale è subordinata la circolazione delle azioni. Sulla base di ragionamenti analoghi a quelli svolti in tema di intrasferibilità parziale di partecipazioni di s.r.l., si deve ritenere che il divieto di trasferimento parziale non debba essere annoverato nella medesima nozione del divieto di trasferimento di cui all’art. 2355-bis c.c. e che quindi il limite temporale ivi previsto appare riferibile esclusivamente all’ipotesi di intrasferibilità assoluta.
La soluzione prospettata appare coerente con il riconoscimento dell’autonomia statutaria che costituisce uno dei perni della riforma attuata con il d.lgs. 6/2003, limitando i correttivi (rispettivamente limite temporale per le s.p.a. e causa legale di recesso per le s.r.l.), volti ad evitare che il socio rimanga prigioniero della società per un tempo indeterminato o comunque eccessivamente prolungato, alle ipotesi di divieto di trasferimento totale ed assoluto.
Ne deriva che – oltre al caso qui esaminato del divieto di trasferimento parziale – non sono qualificabili come “divieti” di trasferimento delle azioni e quindi non ricadono nel perimetro della disposizione che impone il limite temporale di cinque anni le clausole che, ad esempio, vietano: (i) l’alienazione solo nei confronti di taluni soggetti; (ii) alcune tipologie negoziali traslative (come la donazione e la permuta); (iii) la costituzione di usufrutto e pegno sulle partecipazioni; (iv) il trasferimento delle azioni e delle quote con un negozio sottoposto a condizione. Rimane sempre ferma la necessità di verificare – nei casi ora menzionati – che, sostanzialmente, la clausola non sia declinata in modo tale da impedire pressoché totalmente, per le caratteristiche della specifica società, il trasferimento delle partecipazioni.
Con riferimento alle s.p.a., la questione dell’ammissibilità della clausola di intrasferibilità parziale delle azioni detenute da un medesimo socio deve essere affrontata anche dal punto di vista della sua compatibilità con la nozione e la disciplina delle “azioni”, quale necessaria e imprescindibile tecnica di configurazione delle partecipazioni sociali. Da questo punto di vista, potrebbe sorgere il dubbio che una clausola di intrasferibilità parziale, soprattutto se accompagnata dal divieto di trasferire le azioni a una pluralità di soggetti, si ponga in contrasto con la nozione stessa di azione quale “unità di misura” delle partecipazioni sociali. Ciò in quanto si potrebbe ritenere che il divieto di trasferimento parziale crei surrettiziamente una diversa unità di misura delle partecipazioni sociali, oltretutto diversa socio per socio, in violazione del principio di uguaglianza delle azioni (art. 2348 c.c.), con un ragionamento analogo a quello svolto sulla indivisibilità delle partecipazioni di s.r.l.
Tuttavia, la situazione nelle s.p.a. è significativamente diversa, in quanto, pur in presenza di una clausola di intrasferibilità parziale, permarrebbe comunque la suddivisione delle partecipazioni sociali in azioni, tutte della medesima “misura” (eventualmente rappresentata dal loro valore nominale) a prescindere dal fatto che il medesimo socio non possa trasferirle se non tutte insieme. La rilevanza e l’autonomia di ciascuna azione, seppur facente parte di un “pacchetto” nella titolarità di un medesimo socio, rimane inalterata con riferimento a tutti gli altri aspetti del funzionamento della società, quali l’esercizio dei diritti sociali, le vicende derivanti dagli obblighi di conferimento eventualmente ancora dovuti in relazione ad alcune azioni ma non altre, ecc. In altre parole, si può dire che ciascuna azione – anche in presenza di una clausola di intrasferibilità parziale – mantiene la sua rilevanza “strutturale” di unità standard delle partecipazioni sociali, mentre la clausola di intrasferibilità agisce solo sul piano della circolazione delle azioni, senza snaturarne le caratteristiche essenziali e tipologiche.
Per completezza – e anche a mo’ di conferma di quanto testé affermato – giova ricordare che nelle s.p.a. la clausola di intrasferibilità parziale delle azioni non può comunque comportare l’assoluta indivisibilità dei “pacchetti azionari” di cui sono titolari i soci nel momento della sua introduzione, quanto meno in alcune particolari vicende delle partecipazioni sociali. Si allude a tutti i casi di recesso legale inderogabile (art. 2437, comma 1, c.c.), in relazione ai quali deve intendersi che una siffatta clausola non possa in ogni caso comportare una limitazione del diritto di tutti i soci (che non abbiano concorso alla deliberazione che è causa di recesso) di recedere solo parzialmente, in relazione ad alcune delle azioni (e non necessariamente a tutte le azioni) di cui sono titolari. In questi casi, pertanto, la “misura” del “pacchetto di azioni” in mano a ciascun socio è suscettibile di variare, lasciando così all’istituto delle azioni la funzione imprescindibile di unità standard delle partecipazioni sociali nelle s.p.a.
4.– Per quanto riguarda infine l’introduzione delle clausole di intrasferibilità parziale di azioni o quote, mediante una modifica statutaria deliberata nel corso della vita della società, deve ritenersi che il diritto di recesso:
– competa al socio di società per azioni che non abbia concorso alla deliberazione ai sensi dell’art. 2437 co. 2 lett. b) c.c., in quanto il divieto parziale di cui sopra rientra nella nozione di “vincolo” e salvo che lo statuto non disponga diversamente;
– non competa al socio di società a responsabilità limitata, in quanto il diritto di recesso compete solo quando il socio rischia di rimanere prigioniero (lock-up assoluto, diniego del mero gradimento, sostanziale impedimento al trasferimento mortis causa della quota), essendo lasciata all’autonomia statutaria la possibilità di prevedere ulteriori cause di recesso per divieti parziali di alienazione.
NOTA BIBLIOGRAFICA
1.– Le clausole di divieto di alienazione parziale delle partecipazioni di s.r.l. sono state esaminate da alcuni Autori, al fine di verificare se esse debbano essere qualificate o meno come un’ipotesi di “intrasferibilità” delle partecipazioni, ai sensi e per gli effetti dell’art. 2469, comma 2, c.c. Sebbene la loro ammissibilità sia considerata pacifica, stante la lettera della norma qualora dovessero essere annoverate nella nozione di “intrasferibilità” esse darebbero luogo al diritto di recesso, ai sensi dello stesso art. 2469, comma 2, c.c. La dottrina prevalente propende per la tesi negativa.
Sul punto si vedano anzitutto N. Ciocca – G. Marasà, Il trasferimento delle partecipazioni, in Le società a responsabilità limitata, a cura di C. Ibba – G. Marasà, vol. I, Giuffrè, Milano, 2020, p. 640, i quali osservano che “se la clausola di intrasferibilità ha – come sembra convincente – la finalità di cristallizzare le quote societarie sia per soggetti titolari, sia per relative percentuali, e non solo quella, più circoscritta, di governare l’accesso all’esercizio dei diritti sociali o il frazionamento delle quote, allora è persuasiva la posizione secondo cui l’intrasferibilità di cui all’art. 2469 co. 2, c.c. è solo quella assoluta, che impedisce del tutto atti dispositivi della titolarità della quota, nella sua interezza. Esulano quindi dalla norma citata le previsioni statutarie che […] consentano di cedere la quota soltanto per intero”.
Stessa posizione per A. Feller, Commento all‘art. 2469, in Società a responsabilità limitata, a cura di L.A. Bianchi, in Commentario alla riforma delle società, diretto da P. Marchetti – L.A. Bianchi – F. Ghezzi – M. Notari, Egea, Milano, 2008, p. 342, che include queste clausole tra le “limitazioni, ancorché sostanziali” del trasferimento e non nel vero e proprio divieto di trasferimento.
Simili considerazioni in P. Ghionni Crivelli Visconti, Società a responsabilità limitata a struttura chiusa e intrasferibilità delle quote, Giappichelli, Torino, 2011, p. 157, per il quale “La ratio del recesso (in senso tecnico) [ai sensi dell’art. 2469 c.c.] si è individuata […] nell’intento di evitare che il socio possa rimanere prigioniero della propria quota: circostanza, questa, che può essere valutata come esistente a priori dal legislatore soltanto dinanzi ad una totale inibizione della trasmissibilità inter vivos. […] La ricostruzione svolta implica che tutte le ipotesi di intrasferibilità parziale non danno vita al recesso in favore dei soci ex art. 2469, comma 2°, c.c. Si pensi, fra le altre, alle convenzioni di cedibilità della quota esclusivamente per intero”. Egli quindi precisa che tali clausole vanno incluse all’interno dell’inciso “salvo contraria disposizione dell’atto costitutivo”, di cui all’art. 2469 co. 1 e non nel co. 2 (pp. 210 ss.) e non attribuiscono diritto all’exit (pp. 229 ss.).
Sulla clausola oggetto della massima anche G. Zanarone, Commento all‘art. 2469, in Il Codice Civile. Commentario, fondato da P. Schlesinger, continuato da F. D. Busnelli, Giuffrè, Milano, 2010, I, pp. 579-581, il quale interpreta l’espressione “intrasferibilità delle partecipazioni” come “intrasferibilità assoluta, cioè incondizionata e illimitata”.
In tema di divisibilità delle partecipazioni di s.r.l., è prevalente la tesi che sostiene l’ammissibilità delle clausole che prevedono la assoluta indivisibilità delle partecipazioni (a prescindere da quale sia ritenuto il regime legale, in difetto di una clausola che disciplini espressamente questo aspetto). In tale senso si vedano, per tutti: Cass. 21 gennaio 2021, n. 1185, in Diritto Bancario (www.dirittobancario.it) in Gazzetta Notarile (www.gazzettanotarile.com); G. Zanarone, Della società a responsabilità limitata, in Il Codice Civile, Commentario fondato da Schlesinger e diretto da Busnelli, tomo 1, p. 514 ss.; L. Di Nella, Natura e divisibilità delle quote di partecipazione, in S.r.l. | Commentario, a cura di Dolmetta – Presti, Milano, Giuffré, 2011, p. 276 ss., ove ultt. citt.
2.– La clausola di intrasferibilità parziale delle azioni detenute dallo stesso socio assume una rilevanza diversa nelle s.p.a., là dove la legge non contempla la possibilità di prevedere un divieto statutario assoluto, bensì solo temporaneo (art. 2355-bis, comma 1, c.c.). La qualificazione della clausola di intrasferibilità parziale delle azioni rileva non già sul piano della sussistenza o meno del diritto di recesso, bensì su quello della validità o meno della clausola. La questione, tuttavia, non risulta essere stata esaminata dalla dottrina né sottoposta al vaglio della giurisprudenza. [Nota bibliografica a cura di Luca Arlati]