MASSIMA
E’ legittima la clausola statutaria che limiti la circolazione delle azioni di s.p.a. o delle quote di s.r.l. nel senso di subordinare l’efficacia del loro trasferimento, nei confronti della società, alla preventiva adesione della parte acquirente a un patto parasociale, noto alla società stessa, dovendosi in tal caso intendere che l’organo amministrativo è tenuto a rendere disponibile il contenuto del patto parasociale nei confronti dei soci e degli aspiranti acquirenti indicati da ciascuno dei soci.
In ogni caso, il patto parasociale alla cui adesione è subordinata l’efficacia del trasferimento delle partecipazioni sociali nei confronti della società è comunque soggetto ai limiti e ai termini derivanti dalla disciplina applicabile caso per caso.
MOTIVAZIONE
1. — La massima affronta una questione interpretativa che sorge nella prassi societaria allorché i soci di una s.p.a. o di una s.r.l. intendano realizzare un collegamento tra lo statuto sociale e un patto parasociale da essi concluso. La particolarità di tale collegamento risiede nel fatto che l’adesione al patto parasociale viene assunta come presupposto di efficacia del trasferimento delle azioni o quote a un soggetto non socio. In altre parole, la clausola statutaria in oggetto pone un limite alla libera circolazione delle azioni o quote, il cui trasferimento non sarebbe efficace nei confronti della società qualora il nuovo socio non divenisse parte del patto parasociale.
Una simile clausola pone alcuni interrogativi circa la sua compatibilità con la disciplina del diritto societario.
Anzitutto, ci si deve chiedere se il rinvio, da parte dello statuto, a un negozio diverso dal contratto sociale, che oltretutto non forma oggetto di alcuna forma di pubblicità legale (se non nei ristretti limiti di cui all’art. 122 TUF e, solo parzialmente, dell’art. 2341-ter c.c.), non si ponga in contrasto con le norme concernenti la forma e la pubblicità delle regole organizzative della società, contenute appunto nello statuto sociale. Il che, in concreto, si tradurrebbe anche nella difficoltà di attribuire oggettività e certezza nei confronti dei terzi in relazione all’identificazione e al contenuto del patto parasociale cui fa rinvio lo statuto, non potendosi riferire ad alcun registro pubblico ove tale patto sia consultabile da qualsiasi soggetto interessato all’acquisto di partecipazioni sociali.
In secondo luogo, si pone il dubbio che, così facendo, non si finisca per ottenere indebitamente il risultato di attribuire alle disposizioni di un patto parasociale – che continuerebbe a mantenere la propria natura di patto parasociale – la c.d. efficacia “reale” che è propria delle regole statutarie. Ciò in quanto, tramite la clausola che subordina l’efficacia del trasferimento delle azioni all’adesione al patto parasociale, si riuscirebbe a impedire l’acquisto di partecipazioni sociali senza che vi sia anche la partecipazione al patto parasociale, le cui clausole sarebbero in qualche modo opponibili ai terzi acquirenti, seppur in via indiretta mediante il rinvio contenuto nello statuto sociale.
Infine, si potrebbe sollevare un’ulteriore obiezione facendo leva sulla considerazione che una clausola come quella qui ipotizzata avrebbe l’ulteriore effetto di rendere di fatto obbligatorio, per chiunque intendesse acquisire partecipazioni sociali, il rispetto di patti parasociali il cui contenuto non sarebbe assoggettato alle norme inderogabili della disciplina legale del tipo sociale delle s.p.a. o delle s.r.l., a seconda dei casi, se non forse nei limiti dello schema del negozio in frode alla legge ai sensi dell’art. 1344 c.c. Con il che, si potrebbe ritenere che alcune pattuizioni che sarebbero inammissibili in uno statuto di s.p.a. o s.r.l. verrebbero di fatto “aggiunte” alle regole organizzative della società tramite la clausola in parola, che impedisce l’ingresso di soci che non aderiscano al relativo patto parasociale.
2. — In realtà, nessuna di queste possibili argomentazioni sembra cogliere nel segno e sussistono invero fondate ragioni per sostenere la legittimità delle clausole in discorso, come affermato dalla massima.
Si consideri infatti che, in relazione al primo aspetto sopra analizzato, la disciplina della forma e della pubblicità dell’atto costitutivo e dello statuto sociale non può che riferirsi in senso stretto alle sole disposizioni negoziali dell’atto costitutivo e alle regole di funzionamento della società, contenute nell’atto costitutivo e successivamente modificate secondo il procedimento decisionale previsto dalla legge per l’assemblea straordinaria (e talvolta per il consiglio di amministrazione nei rari casi in cui gli sia attribuita tale competenza). Ciò non significa che sia impedito a tali regole organizzative fare riferimento, anche ai fini della loro applicazione, ad atti o fatti di diversa natura, esterni rispetto alla società e non assoggettati al medesimo regime di forma e pubblicità legale.
Così, a mero titolo di esempio, lo statuto può assumere come presupposto anche di modifiche statutarie alcune vicende non soggette a pubblicità legale (si pensi alle clausole che prevedono la conversione di azioni in caso di loro trasferimento a determinati soggetti); sono ugualmente legittime le clausole statutarie che subordinano la spettanza o la misura di diritti sociali (di voto o di partecipazione agli utili) ad atti o fatti che a loro volta non sono oggetto di iscrizione nel registro delle imprese (ad esempio, la clausola che subordina la maggiorazione degli utili a determinate vicende gestionali della società stessa o anche di società terze, magari facenti parte del medesimo gruppo).
Si tratta quindi di assicurare ai terzi interessati la possibilità di essere messi a conoscenza dei patti parasociali l’adesione ai quali è richiesta dallo statuto come presupposto per l’efficace acquisto delle partecipazioni sociali. Il che, pur in mancanza di pubblicità legale, può essere conseguito semplicemente ritenendo che la clausola in parola comporti (anche in mancanza di un’espressa previsione statutaria) un obbligo degli amministratori di fornire ogni informazione in proposito necessaria, unitamente al testo integrale del patto parasociale, ai terzi interessati o almeno agli aspiranti acquirenti all’uopo indicati da ciascuno dei soci. Il che significa che, ogniqualvolta un socio intenda alienare una partecipazione, può autorizzare l’organo amministrativo a rendere edotti i terzi interessati del contenuto dei patti parasociali cui lo statuto fa rinvio e che a questo fine deve essere necessariamente noto alla società. Il terzo acquirente sarebbe quindi posto nella condizione di conoscere il contenuto del patto parasociale e di aderirvi, qualora intendesse acquistare le azioni o quote della società.
D’altro canto, con riferimento alla seconda possibile argomentazione contraria, si deve rilevare che la clausola che subordina l’efficacia del trasferimento di azioni o quote all’adesione di un determinato patto parasociale non comporta affatto l’attribuzione di una sorta di efficacia reale al patto parasociale. Ciò che sarebbe opponibile ai terzi, infatti, sarebbe solo la regola (statutaria) che subordina l’efficacia del trasferimento all’adesione al patto. Dopodiché, le disposizioni contrattuali del patto parasociale nel quale è subentrato il terzo acquirente continuano a mantenere la natura di clausole parasociali, la cui violazione non potrà comunque avere alcun rilievo “reale” nei confronti della società, potendo essere solo fonte di rimedi risarcitori da parte dei contraenti eventualmente danneggiati.
In modo analogo, si deve anche rilevare, così replicando alla terza possibile argomentazione contraria, che la clausola in oggetto non avrebbe nemmeno l’effetto di rendere obbligatorio, per chiunque intendesse acquisire partecipazioni sociali, il rispetto di patti sociali svincolati dalle norme inderogabili della disciplina legale del tipo sociale delle s.p.a. o delle s.r.l. L’adesione al patto parasociale dovrebbe in ogni caso essere appositamente voluta e convenuta dal terzo acquirente e non potrebbe mai costituire l’effetto di un subentro automatico, ben diversamente da quanto avverrebbe per qualsiasi regola di funzionamento della società che avesse natura statutaria.
Si deve infatti nuovamente ribadire che, pur in presenza del rinvio statutario al patto parasociale, quest’ultimo manterrebbe comunque la propria natura di patto parasociale e sarebbe comunque soggetto ai limiti e alla disciplina dei patti parasociali e non dello statuto sociale. Il che comporta che esso sarebbe soggetto – se relativo a una s.p.a. – al termine massimo di durata quinquennale e sarebbe sprovvisto di alcuna opponibilità nei confronti di terzi che non vi aderiscano espressamente. Per converso, proprio per questa natura di patto parasociale, esso non sarebbe direttamente assoggettato alle norme inderogabili che la legge stabilisce per le regole organizzative delle s.p.a. e delle s.r.l.
NOTA BIBLIOGRAFICA
Nonostante il grande interesse dottrinale per il tema dei limiti alla circolazione delle partecipazioni sociali, lo specifico aspetto trattato dalla massima non risulta puntualmente affrontato in dottrina. Benché il punto venga analizzato da una diversa prospettiva (quella degli effetti della cessione della partecipazione sociale sulla adesione del cedente e del cessionario ad un patto parasociale), alcuni spunti di riflessione si possono rinvenire in P. Divizia, Circolazione della partecipazione sociale e limiti soggettivi di efficacia dei patti parasociali, in Riv. not., 2012, 615 ss., ove si afferma che “[i]l vincolo nascente da un patto parasociale (…) non può essere oggetto di un trasferimento congiunto ed automatico unitamente alla titolarità della partecipazione societaria medesima”, pur riconoscendosi la possibilità che il patto parasociale stesso preveda l’adesione del cessionario al patto medesimo come “vincolo alla circolazione della partecipazione medesima”.
In termini più generali, specialmente dopo la riforma del diritto societario del 2003 e quindi alla luce degli artt. 2355-bis e 2469 c.c., “indiscussa (…) è la liceità di una clausola che impone ai soci di possedere determinati requisiti, accertabili senza margini di discrezionalità” (L. Stanghellini, Art. 2355-bis, in Azioni, a cura di M. Notari, in Commentario alla riforma delle società, diretto da P. Marchetti – L.A. Bianchi – F. Ghezzi – M. Notari, Milano, 2008, 604.) Nel senso della piena legittimità tanto nella società per azioni quanto nella società a responsabilità limitata di tali clausole v. anche, tra i molti: A. Tucci, Limiti alla circolazione delle azioni, in Il nuovo diritto delle società. Liber amicorum Gian Franco Campobasso, diretto a P. Abbadessa e G.B. Portale, Torino, 2006, 628 ss.; A. Dentemaro, Art. 2355-bis, in Il nuovo diritto societario, commentario diretto da Gastone Cottino e Guido Bonfante, Oreste Cagnasso, Paolo Montalenti, 1, artt. 2325-2409, Torino, 2004, 328; N. Ciocca e G. Marasà, Il trasferimento delle partecipazioni, in Le società a responsabilità limitata, a cura di Carlo Ibba e Giorgio Marasà, 1, Milano, 2020, 648 ss. Con avvertenza che tanto in dottrina (G. Guerrieri, Questioni aperte in tema di prelazione statutaria, in Giur. comm., 2011, I, 849; L. Stanghellini, op.cit., 605) quanto in giurisprudenza (v. Cass. 10 dicembre 1996, n. 10970, in Giur. comm., II, 31) è diffusa la precisazione per cui, qualora i requisiti (soggettivi od oggettivi) in presenza dei quali è consentito il trasferimento della partecipazione sociale si rivelino così rigidi da impedire in concreto la cessione, la previsione statutaria si tradurrebbe di fatto in un divieto di alienazione, con conseguente sua validità nei soli limiti espressamente sanciti dagli articoli 2355-bis e 2469 c.c.
Sulla natura giuridica dei patti parasociali e sulla distinzione fra patti sociali e parasociali (ed extrasociali) cfr., per tutti, G.A. Rescio, I patti parasociali nel quadro dei rapporti contrattuali dei soci, in Il nuovo diritto delle società. Liber amicorum Gian Franco Campobasso, cit., 447 ss. [Nota bibliografica a cura di Roberto Caspani]