MASSIMA
In caso di aumento di capitale con conferimenti in natura è legittimo prevedere l’emissione, con efficacia in un momento successivo alla sottoscrizione dell’aumento, di un numero di azioni ulteriori rispetto a quelle emesse nel momento della sottoscrizione, al verificarsi di condizioni inerenti l’oggetto del conferimento, quali ad esempio il raggiungimento di determinati risultati economici dell’azienda conferita o della società le cui partecipazioni sono state conferite (così realizzando un effetto analogo al c.d. «earn out» dei contratti di compravendita di aziende o partecipazioni).
Siffatta pattuizione, in presenza di azioni con valore nominale, comporta una successiva e ulteriore variazione del capitale sociale, ed è pertanto subordinata alla circostanza che la relazione di stima ai sensi dell’art. 2343 c.c. (o ai sensi dell’art. 2343-ter c.c.) attesti che il valore di quanto conferito sia almeno pari all’ammontare dell’aumento di capitale comprendente anche l’importo dell’earn out. Diversamente, qualora la società abbia azioni prive di indicazione del valore nominale, la deliberazione che prevedesse la successiva (ed eventuale) emissione di nuove azioni a favore del sottoscrittore potrebbe disporre la sola variazione del numero di azioni di compendio dell’aumento di capitale, mantenendo fermo l’importo dell’aumento di capitale (con conseguente riduzione della parità contabile delle azioni precedentemente emesse), senza necessità della ulteriore «copertura» da parte della relazione di stima.
È altresì legittimo che in caso di aumento di capitale in denaro la deliberazione di aumento preveda l’emissione, con efficacia in un momento successivo alla sottoscrizione dell’aumento, di un numero di azioni ulteriori rispetto a quelle emesse nel momento della sottoscrizione, al verificarsi di condizioni «soggettive» inerenti ciascun sottoscrittore, quali ad esempio la mancata alienazione delle azioni sottoscritte per un determinato periodo di tempo (dando così luogo all’emissione delle c.d. «bonus shares», talvolta previste per premiare la «fedeltà» dei nuovi azionisti nel periodo successivo a un aumento di capitale).
In tal caso, in mancanza di indicazione del valore nominale delle azioni, la deliberazione di aumento può limitarsi a prevedere l’incremento del numero di azioni emesse a fronte del medesimo conferimento in denaro, senza alcuna modifica dell’importo dell’aumento, bensì con conseguente riduzione della parità contabile delle azioni precedentemente emesse. Diversamente, qualora la società avesse azioni con indicazione del valore nominale, l’emissione delle bonus shares comporterebbe una ulteriore variazione dell’importo dell’aumento che dovrebbe pertanto essere «coperto» da quanto versato dai sottoscrittori in sede di liberazione delle azioni iniziali (dovendosi infatti imputare a capitale, al momento dell’emissione delle bonus shares, una corrispondente parte della riserva vincolata creatasi con l’aumento stesso).
In ciascuno dei casi succitati, la relazione degli amministratori e il parere di congruità del collegio sindacale (o della società di revisione) previsti dall’art. 2441, comma 6, c.c. – ove non rinunciati dall’unanimità dei soci – devono riferirsi al numero massimo delle azioni oggetto di emissione, comprensivo quindi di quelle da assegnare a titolo di earn out o di bonus shares.
MOTIVAZIONE
L’ampio ricorso, nell’ambito di operazioni straordinarie di integrazione, all’istituto dell’aumento di capitale in natura ha determinato l’esigenza, per quanti operano nell’ambito del diritto societario, di verificare la compatibilità dell’istituto stesso con alcune delle modalità di esecuzione dell’integrazione eseguita a mezzo di compravendita; fra queste, il riconoscimento della maggiorazione del prezzo (earn out), al raggiungimento di predeterminati obiettivi, in relazione alla partecipazione o all’azienda compravenduta.
Il riconoscimento di earn out non è soggetto, in materia di compravendita, a verifiche o condizioni specifiche imposte dal diritto societario; diversamente, allorché il corrispettivo sia costituito da azioni munite di valore nominale, emesse dalla società per azioni che riceve l’apporto in natura, la possibilità di maggiorare il corrispettivo deve fare i conti con le regole che presidiano la corretta formazione del capitale. In altri termini, l’emissione delle nuove azioni – al raggiungimento degli obiettivi prefissati – resta soggetta alla disciplina della verifica della copertura del (nuovo) capitale, posto che la nuova emissione implica necessariamente un incremento del capitale stesso.
Questa verifica è soddisfatta dalla presenza, nell’elaborato peritale rilasciato a norma dell’articolo 2343 o dell’articolo 2343-ter c.c., di attestazione il cui contenuto confermi che il valore di quanto conferito è almeno pari all’ammontare dell’aumento di capitale comprendente anche l’importo eventualmente connesso all’emissione delle azioni da rilasciarsi a titolo di earn out. In questi casi, la deliberazione di aumento di capitale dà luogo a due emissioni distinte, pur derivanti dalla medesima operazione: la prima, avente ad oggetto le azioni da assegnare al sottoscrittore al momento del conferimento, senza alcuna condizione; la seconda, avente invece ad oggetto le ulteriori azioni da assegnare al sottoscrittore a titolo di earn out, con effetto in tempi successivi e a condizione che siano raggiunti gli obiettivi prefissati. In altre parole, il conferente sottoscrive sin dall’origine tutte le azioni oggetto delle due emissioni ed esegue contestualmente l’intero conferimento dovuto a fronte di tale sottoscrizione; tuttavia, alcune delle azioni di compendio dell’aumento di capitale, pur sottoscritte e liberate, non vengono emesse con effetto immediato, bensì verranno emesse solo successivamente e solo al verificarsi delle condizioni pattuite per il conseguimento dell’earn out.
Quanto alle modalità attraverso le quali l’esperto nominato ai sensi dell’articolo 2343 o dell’articolo 2343-ter c.c. può pervenire alla attestazione inerente la copertura della ulteriore porzione dell’aumento (ossia la seconda emissione) è possibile che l’esperto individui nell’apporto in natura valore sufficiente, già al momento dell’operazione, a coprire entrambe le emissioni, potendo quindi attestare che il valore dei beni conferiti è almeno pari all’intero aumento (maggiorato del sovrapprezzo), comprendente anche il valore nominale delle azioni assegnate a titolo di earn out. Si pensi al seguente esempio. La società A conferisce alla società B un ramo d’azienda, il cui valore attuale è stimato pari a euro 125.000, e come tale attestato anche dall’esperto ai sensi dell’art. 2343 c.c. A fronte del conferimento, la società B delibera l’emissione immediata di n. 100.000 azioni del valore nominale di 1 euro ciascuna, nonché l’emissione successiva, entro 18 mesi dal conferimento, di ulteriori n. 25.000 azioni a titolo di earn out, subordinatamente alla verifica che al termine dell’esercizio successivo la società abbia un EBITDA non inferiore alla soglia ritenuta ragionevole al momento del conferimento. Come si vede, in tal caso la relazione peritale attesta che il valore attuale del ramo d’azienda è tale da coprire sia la prima emissione, sia la seconda emissione (e il relativo aumento di capitale).
D’altra parte, non può essere escluso che, nel caso in cui l’esperto non individui nell’apporto in natura un valore attuale sufficiente a coprire entrambe le emissioni al momento dell’operazione, il medesimo possa concludere attestando che il valore dei beni conferiti è almeno pari all’intero aumento a mezzo di un esame prognostico, che necessariamente prenda in considerazione il nesso – di carattere oggettivo e specifico – fra il raggiungimento degli obiettivi sottesi all’earn out e l’incremento di valore dei beni del quale si chiede, appunto, l’affermazione da parte del perito. Affinché ciò non integri la necessità di una nuova valutazione, è tuttavia necessario che la relazione di stima individui uno o più determinati elementi e/o eventi, al cui verificarsi è subordinato l’earn out, il cui accertamento non sia oggetto di una valutazione discrezionale, bensì sia oggettivamente riscontrabile. Si pensi al seguente esempio. La società A conferisce alla società B un ramo d’azienda, il cui valore attuale è stimato pari a euro 100.000, e come tale attestato anche dall’esperto ai sensi dell’art. 2343 c.c. A fronte del conferimento, la società B delibera l’emissione immediata di n. 100.000 azioni del valore nominale di 1 euro ciascuna, nonché l’emissione successiva, entro 18 mesi dal conferimento, di ulteriori n. 25.000 azioni a titolo di earn out, subordinatamente alla verifica che entro il termine dell’esercizio successivo la società ottenga l’autorizzazione alla commercializzazione di un nuovo farmaco ancora in fase sperimentale. In tal caso, la deliberazione di aumento sarebbe rispettosa dei requisiti previsti dagli artt. 2343 e seguenti c.c. qualora la relazione peritale attestasse che il valore del ramo d’azienda (oggi pari a euro 100.000) sarà pari a euro 125.000 qualora si verificasse l’evento al quale è subordinata l’assegnazione delle azioni a titolo di earn out.
Una ulteriore criticità, che potrebbe sorgere qualora la previsione dell’earn out sia contenuta in una deliberazione di aumento di capitale di una società con azioni dotate di valore nominale, concerne la necessità della sussistenza della eventuale riserva da imputare a capitale, al momento in cui vengono emesse le azioni oggetto di earn out. Ciò vale in particolare nelle ipotesi in cui il bene conferito viene acquisito dalla società conferitaria per l’intero valore stimato dal perito, comprendente la parte di tale valore destinata a coprire la parte di aumento connessa all’emissione delle azioni da assegnare a titolo di earn out (come avviene nel primo dei due esempi di cui sopra, laddove la società iscriva sin dall’inizio una riserva sovrapprezzo di euro 25.000, pari alla differenza tra il valore attuale del bene conferito e il valore nominale delle azioni emesse al momento del conferimento), ove l’operazione sia strutturata mediante successiva imputazione di tale riserva a capitale. Pur essendo possibile prevedere che la riserva destinata alla copertura di tale ulteriore parte del capitale sociale sia destinata ad essere erosa dalle perdite solo dopo tutte le altre riserve (fatta eccezione per la riserva legale), non può escludersi che al momento in cui si dovrebbero emettere le ulteriori azioni oggetto di earn out si siano verificate perdite di bilancio tali da estinguere tutte le riserve disponibili della società. In tali circostanze, occorrerebbe quindi individuare idonea ragione giustificatrice dell’aumento di capitale a servizio della seconda emissione di azioni a favore del socio che ha effettuato il conferimento in natura in assenza della riserva originariamente iscritta.
Una situazione forse diversa si verrebbe a creare qualora l’aumento di capitale corrispondente alle azioni della seconda emissione fosse destinato a essere coperto dall’ulteriore valore derivante dall’evento al quale è subordinato l’earn out, sempre che sussista idonea attestazione in tal senso nella relazione di stima, come precisato poc’anzi (nel secondo esempio di cui sopra). In tale ipotesi si potrebbe forse sostenere che tale maggior valore possa essere direttamente imputato a capitale, ma occorrerebbe affrontare il problema degli effetti di eventuali perdite sopravvenute nel frattempo, ai sensi degli artt. 2446 e 2447 c.c.: la presenza di perdite che abbiano nel frattempo eroso tutte le riserve potrebbe essere ritenuta circostanza comunque idonea a impedire, anche per la eventuale parte residua della riserva sovrapprezzo in discorso, l’emissione delle azioni ulteriori e il corrispondente aumento del capitale sociale.
Tutte le difficoltà sin qui descritte derivano dall’esistenza del valore nominale azionario e dalla conseguente esigenza di garantire la corretta formazione della porzione di capitale che corrisponde alle azioni da emettere a titolo di earn out. Quando invece la società abbia azioni prive di indicazione del valore nominale, è possibile ritenere che all’emissione delle nuove azioni possa non accompagnarsi un ulteriore incremento del capitale sociale. Pertanto, la deliberazione che prevedesse la successiva (ed eventuale) emissione di nuove azioni a favore del sottoscrittore potrebbe prevedere la sola variazione, in aumento, del numero di azioni, mantenendo fermo l’importo del capitale, per cui non vi sarebbe necessità della ulteriore «copertura» da parte della relazione di stima.
L’operazione non ha quindi bisogno, al fine dell’emissione delle ulteriori azioni da assegnare a titolo di earn out, del rispetto delle norme relative alla formazione del capitale, producendosi – in luogo dell’aumento di questo – la riduzione della parità contabile di tutte le azioni già in circolazione. In questo caso, la delibera assembleare prevederà semplicemente una ulteriore emissione di azioni, sempre a fronte del medesimo conferimento in natura, in via subordinata e futura, cioè collegata al raggiungimento degli obiettivi qualificati previsti per l’earn out. L’elaborato peritale, naturalmente, potrà considerarsi adeguato ove attesti che il valore del bene conferendo è almeno pari all’importo dell’unico aumento previsto, così restando evitate sia le particolari complessità connesse al contenuto della relazione peritale sia le problematiche connesse alla imputazione a capitale di una parte del valore del conferimento inizialmente riflessa in una riserva non necessariamente persistente, al momento del riconoscimento dell’earn out, per un importo almeno pari al valore nominale delle azioni di nuova emissione.
Impostazione non dissimile da quella sopra illustrata può essere ipotizzata in relazione ad altra fattispecie, nota nell’ambito societario come emissione di «bonus shares». L’operazione consiste, propriamente, in un aumento di capitale in denaro, la cui deliberazione preveda l’emissione, con efficacia in un momento successivo alla sottoscrizione dell’aumento stesso, di un numero di azioni ulteriori rispetto a quelle emesse nel momento della sottoscrizione, al verificarsi di condizioni «soggettive» inerenti ciascun sottoscrittore, quali ad esempio la mancata alienazione delle azioni sottoscritte per un determinato periodo di tempo, allo scopo di premiare la «fedeltà» dei nuovi azionisti nel periodo successivo a un aumento di capitale.
Secondo un paradigma non diverso da quello sopra tracciato in materia di earn out, allorché le azioni non abbiano valore nominale, le bonus shares potranno essere emesse a complemento dell’aumento «principale» senza ulteriori incrementi del capitale, derivandone la riduzione della parità contabile implicita di tutte le azioni. Nel caso in cui, invece, le azioni abbiano valore nominale, l’assegnazione delle bonus shares dovrà tenere conto delle sopra richiamate regole per la corretta formazione del capitale, che risulterà infatti necessariamente incrementato. Questo incremento dovrebbe quindi essere «coperto» da quanto versato dai sottoscrittori in sede di liberazione delle azioni iniziali, dovendosi infatti imputare a capitale ed eventualmente a sovrapprezzo, al momento dell’emissione delle bonus shares, una corrispondente parte della riserva vincolata creatasi con il primo aumento. L’assegnazione delle bonus shares è pertanto subordinato alla permanenza in essere, al momento della seconda emissione, di riserve sufficienti per coprire l’ulteriore aumento di capitale o comunque all’adozione di tecniche contrattuali tali da garantire la «copertura» dell’aumento incrementale del capitale sociale derivante dall’emissione delle bonus shares.
Tanto nel caso di aumento con earn out quanto in quello delle bonus shares, pertanto, le considerazioni sin qui svolte inducono ad affermare che possa essere spesso preferibile – seppur non strettamente necessario – avvalersi della facoltà di eliminare preventivamente (se ancora presente in statuto) l’indicazione del valore nominale delle azioni, al fine di poter effettuare l’emissione delle azioni «aggiuntive» anche senza dar luogo a un ulteriore aumento di capitale e senza quindi dover assicurare il rispetto delle norme che ne derivano.
L’ultimo paragrafo della massima, infine, ricorda che in entrambe le operazioni di aumento con earn out e con bonus shares, qualora vi sia esclusione o limitazione del diritto di opzione, la deliberazione assembleare – salvo rinuncia unanime dei soci – deve fissare il prezzo di emissione delle nuove azioni ai sensi dell’articolo 2441, comma 6, c.c., sulla scorta della relazione redatta dagli amministratori e del parere di congruità del collegio sindacale o della società di revisione. In tal caso, quindi, si precisa che la relazione degli amministratori e il parere di congruità, indipendentemente dalla circostanza che le azioni abbiano o non abbiano valore nominale, dovranno comunque prendere in considerazione, da un lato, il numero massimo di azioni da emettere, comprensivo di earn out o bonus shares, e dall’altro l’intero controvalore in natura (earn out) o il prezzo (bonus shares) complessivamente destinato a liberare l’aumento, così restando adeguato il prezzo di emissione anche al caso della più elevata, eventuale, emissione azionaria.
NOTA BIBLIOGRAFICA
1. – Con il termine «earn out» – coniato negli ordinamenti di common law e utilizzato frequentemente nel contesto domestico – si allude generalmente alla clausola accessoria ad un contratto di vendita di compendi aziendali o partecipazioni sociali mediante la quale si riconosce al venditore un incremento del prezzo, al raggiungimento di determinate performance del compendio oggetto del contratto o della società le cui partecipazioni costituiscono oggetto del contratto. Calato nel contesto della questione de qua, a detto termine è possibile ricorrere per indicare l’accordo tra conferente e conferitaria avente ad oggetto l’eventuale riconoscimento al primo di ulteriori partecipazioni della seconda rispetto a quelle ricevute al momento dell’esecuzione del conferimento, a condizione del raggiungimento di determinate performance da imputarsi ai beni oggetto del conferimento stesso (in questi termini M.L. VITALI, Conferimento d’azienda, valore di conferimento e clausole di «earn out», in Scritti Giuridici per Piergaetano Marchetti, Egea, 2011, 743).
Il fenomeno si colloca nell’ambito degli aumenti di capitale da liberarsi mediante conferimenti in natura e, in particolare, aventi ad oggetto aziende o rami d’azienda, cioè complessi produttivi costituiti di beni e rapporti funzionalmente collegati, caratterizzati da un forte dinamismo e destinati a combinarsi con il compendio aziendale della conferitaria, circostanza che impatta sulla valutazione del conferimento medesimo e conseguentemente sul c.d. «corrispettivo da conferimento» (non a caso, infatti, gli approfondimenti dottrinali che hanno dedicato attenzione al tema si sono concentrati su tale particolare declinazione della fattispecie: oltre a M.L. VITALI, Conferimento d’azienda, cit., 739 ss., si v. C. CINCOTTI, Il contratto di acquisizione d’azienda mediante conferimento nella s.p.a., Giuffrè, 2009). Nonostante non si rivengano contributi specifici, è senz’altro possibile che oggetto del conferimento, potenzialmente attributivo di una partecipazione premiale della conferitaria, sia una partecipazione sociale che, seppur solo in via mediata, rappresenta una quota parte del patrimonio dell’ente, insieme di beni e rapporti giuridici facenti capo alla società, quale soggetto giuridico distinto dalle persone dei soci.
La questione dell’ammissibilità di clausole di «earn out» nell’ambito di aumenti di capitale da liberarsi mediante conferimenti in natura dipende dal giudizio di compatibilità delle stesse con il principio di necessaria copertura del capitale sociale da parte del valore dell’oggetto del conferimento (così M.L. VITALI, Conferimento d’azienda, cit., 749). La relazione giurata redatta dall’esperto designato dal tribunale o dall’esperto indipendente dovrà quindi non solo «confermare che il valore del complesso aziendale è almeno pari a quello che è stato ad esso attribuito dalle parti nel momento in cui si è determinata la caratura dell’aumento del capitale e dell’eventuale sovrapprezzo delle azioni di nuova emissione», ma anche «procedere ad un esame prognostico certamente non semplice», riconoscendo «quale valore il complesso aziendale possa «sprigionare» qualora siano soddisfatte, entro un certo arco temporale, le condizioni individuate dalle parti» e così fissando «un nuovo valore che sarà quello cui si potrà attestare l’aumento di capitale ove si verifichino le condizioni negoziate dalle parti» (M.L. VITALI, Conferimento d’azienda, cit., 750).
Quanto al contenuto della perizia, sembra da escludersi che l’esperto – una volta attestato il valore dell’oggetto del conferimento – debba esprimersi nuovamente sul valore dei beni conferiti; diversamente opninando, infatti, da un lato, si finirebbe per obliterare l’unitarietà dell’operazione di conferimento e, dall’altro, parrebbe ragionevole supporre che, una volta assorbito dalla conferitaria, il compendio aziendale abbia perduto la propria originaria fisionomia (in questi termini, M.L. VITALI, Conferimento d’azienda, cit., 750, che afferma inoltre che «la possibilità che il perito strutturi la relazione in due parti, di cui la prima destinata ad attestare la valorizzazione dei beni (…) e la seconda contenente l’attestazione dell’equivalenza tra l’ulteriore aumento di capitale riservato al conferente – ovvero l’«earn out» – ed il valore dell’azienda conferita qualora siano soddisfatte determinate condizioni» (M.L. VITALI, Conferimento d’azienda, cit., 752, richiamando C. Cincotti, Il contratto di acquisizione d’azienda mediante conferimento nella s.p.a., cit., 124).
Tale soluzione appare compatibile anche con il principio dell’integrale liberazione, al momento della sottoscrizione, delle partecipazioni corrispondenti a conferimenti in natura, di cui agli artt. 2342, terzo comma, e 2464, quinto comma, c.c. La condizione relativa alla realizzazione dell’evento di «earn out», infatti, «non è riferibile al conferimento, la cui esecuzione si consuma in un unico contesto posto che il complesso aziendale viene acquisito dalla conferitaria che ne acquista l’immediata disponibilità» (M.L. VITALI, Conferimento d’azienda, cit., 755), bensì alla delibera di aumento e alle relative sottoscrizioni, che assumeranno efficacia solo una volta realizzatesi le condizioni prefissate per il riconoscimento dell’«earn out», con conseguente emissione delle nuove partecipazioni a favore dei sottoscrittori dell’aumento di capitale. In altre parole, nonostante l’apposizione della predetta condizione di efficacia, la sottoscrizione e la liberazione delle partecipazioni corrispondenti a conferimenti in natura avvengono, come richiesto dalle norme richiamate, nel medesimo contesto temporale (quello dell’apprensione, da parte della conferitaria, dei beni conferiti).
2. – Con il termine «bonus shares» si allude generalmente all’impegno, assunto dall’emittente nei confronti degli azionisti, di attribuire gratuitamente azioni ulteriori rispetto a quelle già sottoscritte dai medesimi in occasione di aumenti di capitale a pagamento. Tale impegno, generalmente, è condizionato al mantenimento, da parte degli azionisti, della titolarità delle azioni già sottoscritte dai medesimi in occasione di aumenti di capitale a pagamento, per un determinato lasso temporale determinato nella delibera di aumento (c.d. loyalty period). Alla figura delle «bonus shares» può dunque riconoscersi, da un lato, la funzione di incentivazione dell’investimento, dall’altro, la funzione di garantire la stabilità dei corsi azionari. Ad esse, di conseguenza, si ricorre specialmente in occasione di operazioni sul capitale finalizzate alla quotazione delle azioni sui mercati regolamentati ovvero sui sistemi multilaterali di negoziazione (per un primo inquadramento sistematico della figura, si v. M.L. VITALI, Le «bonus shares», in Analisi giuridica dell’economia, 2017, 141 ss.).
In dottrina si individuano generalmente tre diverse modalità per attuare l’assegnazione delle «bonus shares»: (i) la prima – sviluppatasi specialmente nel contesto della privatizzazione di partecipate pubbliche – consiste nell’assegnazione delle «bonus shares» da parte del socio o dei soci di controllo, i quali assegnano tali partecipazioni premiali a coloro che mantengano per un determinato periodo di tempo le azioni rivenienti da un aumento di capitale deliberato dall’emittente e funzionale all’offerta pubblica di sottoscrizione; (ii) la seconda – che, unitamente a quella summenzionata, rappresenta una forma di assegnazione diretta – si realizza mediante l’attribuzione di azioni proprie già detenute dall’emittente; (iii) la terza modalità, oggetto della massima de qua, si realizza, invece, mediante l’assunzione di una delibera di aumento di capitale sociale «a pagamento, scindibile, con esclusione del diritto di opzione (ai sensi dell’art. 2441 c.c. in quanto generalmente funzionale a un’operazione di mercato), articolato in più tranche, a esecuzione differita e condizionata» (così M.L. VITALI, Le «bonus shares», cit., 150, ove afferma che la circostanza che l’operazione sia strutturata in un unico aumento «risulta coerente con il tipo di condizione a cui viene subordinata l’assegnazione delle azioni supplementari. Vi è infatti uno stretto collegamento – direi di natura funzionale – tra le azioni supplementari e le azioni inizialmente sottoscritte la cui titolarità continuata legittima l’assegnazione delle prime».
Con riferimento alle modalità di attuazione dell’operazione, occorre distinguere tra l’eventualità in cui l’emittente abbia emesso azioni con valore nominale e quella in cui le partecipazioni siano emesse senza indicazione del valore nominale.
Nel primo caso, l’emissione delle «bonus shares» determina necessariamente un incremento del capitale sociale, la cui liberazione è assicurata dalle risorse economiche (i.e. il prezzo, comprensivo di sovrapprezzo) rivenienti dalla sottoscrizione delle azioni emesse con la prima tranche dell’aumento di capitale. Contabilmente, «si costituisce – per effetto dell’esecuzione della prima tranche dell’aumento del capitale sociale – sia una riserva vincolata a servizio dell’emissione delle azioni supplementari senza il pagamento di alcun corrispettivo, sia – per l’eccedenza – una riserva sovrapprezzo, fermo restando che l’eventuale eccedenza della riserva vincolata all’emissione delle bonus shares – per l’ipotesi in cui le azioni supplementari sottoscritte risultassero in numero inferiore a quello massimo previsto dall’emissione – sarà definitivamente imputata a riserva sovrapprezzo» (così M.L. VITALI, Le «bonus shares», cit., 165, testo e nt. 56, ove è fornita un’esemplificazione numerica). Sotto il profilo dell’adempimento dell’obbligazione da parte dell’emittente, invece, l’assegnazione «si realizza per effetto di una compensazione tra quanto già corrisposto dal socio e quanto da lui dovuto all’emittente per liberare le bonus shares a fronte dell’esecuzione della seconda tranche dell’aumento del capitale sociale. Al ricorrere delle condizioni di assegnazione, l’emittente applicherà uno sconto sul prezzo di sottoscrizione delle azioni della prima tranche; questo sconto risulterà pari al costo di sottoscrizione delle bonus shares a cui il socio ha diritto. Con la conseguenza, dunque, che, da una parte, il socio risulterà titolare di un credito verso la società, pari al costo di sottoscrizione delle bonus shares, da compensarsi tramite la sottoscrizione (e l’assegnazione) delle azioni supplementari; e che, dall’altra parte, in pendenza della maturazione del periodo di fedeltà, la riserva costituita nei termini anzidetti si eroderà, con il conseguente emergere di un rischio di inadempimento da parte dell’emittente nell’assegnazione delle bonus shares; rischio evidentemente da risolversi sul piano risarcitorio a favore del sottoscrittore che abbia nel frattempo conseguito la legittimazione a vedersele assegnate» (M.L. VITALI, Le «bonus shares», cit., 166 s.).
Nel secondo caso, invece, è stata ritenuta ammissibile anche «un’ulteriore e diversa modalità di emissione delle azioni premiali, consistente nella possibilità di (emetterle ed) assegnarle operando esclusivamente sul capitale (originario) mediante la riduzione della parità contabile delle azioni già in circolazione», e dunque senza deliberare un aumento di capitale a servizio dell’emissione delle bonus shares (M.L. VITALI, Le «bonus shares», cit., 167). [Nota bibliografica a cura di M. FERRARI]