Massime Commissione Società

167. Diritto di voto degli strumenti finanziari partecipativi (art. 2346, comma 6, e 2351, comma 5, c.c.)[7 novembre 2017]

Massime Commissione Società

Massima n.167

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7 Novembre 2017

Diritto di voto degli strumenti finanziari partecipativi

(art. 2346, comma 6, e 2351, comma 5, c.c.)

MASSIMA

     Il «diritto di voto su argomenti specificamente indicati», che può essere attribuito agli strumenti finanziari partecipativi in forza della previsione dell’art. 2351, comma 5, c.c., non può dare luogo ad un’unica deliberazione formata con il conteggio indiscriminato, e riferito ad un’unica base di calcolo, delle presenze e dei voti degli azionisti e dei titolari di strumenti finanziari partecipativi. Qualora lo statuto (o il regolamento allegato allo statuto) preveda che la volontà dei titolari degli strumenti finanziari partecipativi debba formarsi in modo collegiale, pertanto, il loro diritto di voto deve essere esercitato nell’ambito di un’assemblea separata da quella degli azionisti o quanto meno deve dar luogo a una deliberazione formata con un conteggio separato dei voti degli strumenti finanziari partecipativi, a prescindere dal fatto che lo statuto (o il regolamento ad esso allegato) disponga che la riunione degli azionisti e dei titolari di strumenti finanziari partecipativi debba o possa avvenire contestualmente nel medesimo luogo.
     Gli «argomenti specificamente indicati» sui quali può essere previsto il voto dei titolari di strumenti finanziari partecipativi possono consistere in particolare: (i) nell’esercizio di diritti e prerogative autonomamente concessi alla collettività degli strumenti finanziari partecipativi (come ad esempio la nomina di un componente degli organi sociali); (ii) nell’approvazione di determinate deliberazioni di competenza dell’assemblea ordinaria o straordinaria degli azionisti, fatta eccezione per le materie per le quali la legge non consente la previsione di maggioranze più elevate (ossia l’approvazione del bilancio e la nomina e la revoca delle cariche sociali, ai sensi dell’art. 2369, comma 4, c.c.); (iii) nell’autorizzazione al compimento di determinati atti da parte degli amministratori, a prescindere dal fatto che lo statuto preveda o meno l’autorizzazione dell’assemblea ordinaria ai sensi dell’art. 2364, comma 1, n. 5, c.c., in riferimento ai medesimi atti di amministrazione.
     All’assemblea dei titolari degli strumenti finanziari partecipativi si applica la disciplina dell’assemblea straordinaria, in forza del rinvio operato dall’art. 2376, comma 2, c.c., nei casi in cui essa debba riunirsi per l’approvazione delle deliberazioni dell’assemblea degli azionisti che pregiudicano i diritti di una categoria di strumenti finanziari partecipativi, ai sensi del primo comma dello stesso art. 2376 c.c. In ogni altro caso, lo statuto può liberamente disciplinare i profili procedurali e formali delle riunioni assembleari dei titolari di strumenti finanziari partecipativi, fermo restando che, in mancanza di apposita previsione a tal riguardo, si deve ritenere applicabile la disciplina delle assemblee straordinarie, per analogia con quanto disposto dallo stesso art. 2376 c.c. e dall’art. 2415, comma 3, c.c., per le assemblee degli obbligazionisti.


MOTIVAZIONE

     La disciplina dei diritti di voto che possono essere attribuiti agli strumenti finanziari partecipativi (s.f.p.) è contenuta negli artt. 2346, comma 6, e 2351, comma 5, c.c. Si tratta invero di una disciplina piuttosto scarna, essendo solamente previsti: in negativo, il divieto di attribuire agli s.f.p. «il voto nell’assemblea generale degli azionisti», e in positivo, la possibilità di dotare tali strumenti del «diritto di voto su argomenti specificamente indicati», ivi incluso il diritto di nomina di un componente indipendente del consiglio di amministrazione o del consiglio di sorveglianza o di un sindaco.
      Tra gli interrogativi che tale succinta disciplina suscita, vi è anzitutto quello concernente le modalità e il luogo in cui il diritto di voto può essere espresso da parte dei titolari degli strumenti partecipativi. Sul punto, la massima interpreta la formulazione dell’art. 2346, comma 6, c.c., secondo quello che appare il suo significato più in linea con una corretta ricostruzione della ratio legis: si ritiene che il divieto ivi contenuto implichi la necessità che il voto dei titolari di s.f.p. non sia cumulabile con quello degli azionisti nella formazione di un’unica delibera assembleare, ma debba essere conteggiato separatamente, per lo più (ma non necessariamente: v. la motivazione della massima n. 168 sulla riserva di nomina di componenti di cariche sociali agli s.f.p.) mediante la sua espressione in una assemblea speciale di categoria.
     Una siffatta lettura si lascia preferire a quella più permissiva secondo la quale il divieto sarebbe d’ostacolo solamente all’attribuzione di un diritto di voto generalizzato, esteso a tutte le materie di competenza assembleare, impregiudicata invece la possibilità che il diritto di voto «speciale» venga espresso non solo nel medesimo luogo in cui viene espresso il voto dei soci (il che non nuocerebbe ove il conteggio rimanesse separato), ma anche concorrendo alla formazione di un’unica delibera assembleare. La ragione per cui tale ultima lettura non appare convincente risiede, da un lato, nella formulazione letterale della norma che pone il divieto di voto nell’assemblea generale in quanto tale, a prescindere dalle materie di relativa competenza, e, dall’altro lato, nella maggiore coerenza sistematica di una interpretazione che preservi una concezione dell’assemblea generale come luogo di formazione di decisioni imputabili esclusivamente ai soci (o comunque a coloro che vantano diritti sulle azioni), evitando il rischio che tali decisioni vengano adottate senza il consenso necessario e sufficiente degli azionisti, come potrebbe verificarsi se una data deliberazione si reggesse sul preponderante voto dei titolari di s.f.p.. Sul punto, giova anche segnalare come la possibile disomogeneità strutturale di azioni, da una parte, e s.f.p., dall’altra parte, renderebbe anche sotto il profilo pratico non agevole la scrittura di una disciplina statutaria capace di disciplinare la compartecipazione in un’unica assemblea di titolari di azioni e di titolari di strumenti partecipativi. Pertanto, anche in presenza di clausole statutarie che prevedessero la contestualità delle riunioni degli uni e degli altri, l’espressione del voto avverrà in due assemblee logicamente e giuridicamente distinte.
      Quanto invece alla disciplina «in positivo» del diritto di voto, la massima identifica tre possibili tipologie di argomenti su cui l’assemblea speciale potrà esprimersi, ferma naturalmente restando la competenza, inderogabile, della medesima assemblea speciale ad approvare eventuali delibere dell’assemblea dei soci che pregiudichino i diritti attribuiti agli strumenti partecipativi. Si precisa così che l’assemblea speciale costituirà, anzitutto, il luogo naturale (sia pure non obbligato) in cui i titolari di strumenti partecipativi potranno esercitare i diritti e le prerogative che la legge riconosce alla collettività degli stessi. Il tipico caso è costituito dai diritti di nomina di componenti degli organi sociali. Una seconda possibile funzione dell’assemblea speciale è poi quella dell’approvazione di determinate deliberazioni di competenza dell’assemblea ordinaria o straordinaria dei soci. Si tratta, in questi casi, dell’attribuzione alla collettività degli s.f.p. di un diritto di veto, da esercitarsi per il tramite del voto nell’assemblea speciale, rispetto a decisioni che altrimenti sarebbero di esclusiva spettanza dei soci: la natura «partecipativa» di tali strumenti, e quindi la fisiologica compartecipazione di tali strumenti a diritti altrimenti spettanti in via esclusiva ai soci, rende tale opzione statutaria legittimamente percorribile.
     La massima, tuttavia, precisa che l’attribuzione di tali diritti di veto incontra un duplice limite. In primo luogo, essi non possono estendersi alla generalità delle competenze assembleari, vanificandosi altrimenti il precetto normativo in base al quale possono spettare solo diritti di voto «su argomenti specificamente indicati». Il veto degli s.f.p., inoltre, non può estendersi a quelle materie per le quali la disciplina vigente impone il divieto di innalzare le maggioranze di legge (art. 2369, comma 4, c.c.), considerato che tale divieto costituisce un presidio non derogabile neppure in via indiretta e mediata, a salvaguardia della facilità deliberativa su argomenti essenziali per la sopravvivenza della società.
     Tra gli argomenti di possibile competenza dell’assemblea speciale degli s.f.p., invece, non possono esservi tematiche gestionali, perché tali strumenti possono partecipare soltanto dei diritti spettanti ai soci, e tra di essi non vi è la competenza gestionale, attribuita in via esclusiva all’organo amministrativo (art. 2380-bis c.c.). In materia rimane tuttavia salva la possibilità di riconoscere agli strumenti partecipativi il coinvolgimento negli stessi limiti consentiti ai soci, con particolare riferimento all’autorizzazione di cui all’art. 2364, comma 1, n. 5, c.c.: è questa, dunque, la terza tipologia di possibili argomenti su cui l’assemblea speciale può pronunciarsi. Si ricorda, sul punto, che l’autorizzazione al compimento di specifici atti degli amministratori non è una competenza assembleare necessaria, dovendo formare oggetto di apposita clausola statutaria. Deve peraltro ritenersi legittima, e di ciò la massima fa espressa menzione, la scelta statutaria di attribuire tale competenza all’assemblea speciale degli strumenti partecipativi anche in assenza di analoga previsione per l’assemblea generale: in tal caso, semplicemente, la «partecipazione» degli strumenti sarà riferita non tanto a un diritto attuale dei soci ma a un diritto solo potenziale, vale a dire possibile ancorché allo stato non esercitato in statuto. Non emerge, infatti, dal sistema che agli s.f.p. non possano essere concessi spazi decisionali che i soci, pur potendolo, non si siano riservati.
     La massima, da ultimo, considera la tematica dei profili procedurali e formali delle riunioni assembleari. In coerenza con gli esiti cui giungono le massime n. 161 e 162, si ritiene che il ricorso alle forme dell’assemblea straordinaria sia inderogabile solamente nei casi previsti dalla legge, vale a dire nel caso in cui l’assemblea speciale sia chiamata ad approvare una deliberazione dell’assemblea degli azionisti che pregiudichi i diritti degli s.f.p. (art. 2376 c.c.). Negli altri casi, trattandosi di competenze liberamente assegnate dallo statuto all’assemblea speciale, deve ritenersi altrettanto libera la deroga alla disciplina prevista dalla legge per le assemblee straordinarie.


NOTA BIBLIOGRAFICA

     1. – La possibilità di esercitare nell’assemblea dei soci il diritto di voto di cui siano forniti gli s.f.p. è tema ampiamente dibattuto in dottrina. Si riscontrano sul punto due differenti posizioni.
     L’interpretazione del combinato disposto degli artt. 2346, comma 6, e 2351, comma 5, c.c., secondo cui il diritto di voto (su argomenti specifici) attribuito agli s.f.p. non può essere esercitato nell’assemblea degli azionisti ma solo al di fuori di essa è largamente sostenuta in dottrina. In questo senso si esprime B. LIBONATI, I «nuovi» strumenti finanziari partecipativi, in Riv. dir. comm., 2007, I, 6 ss., che evidenzia come «risulterebbe sufficientemente singolare un’assemblea di soci alla quale partecipino non soci, apparendo invece plausibile che l’assemblea generale si conservi come luogo giuridico di assunzione delle decisioni da parte di chi partecipa nel senso completo sul termine alla società», essendo per converso «naturale – per logica di sistema – che» il diritto di voto debba venire esercitato «dove il portatore di strumenti finanziari normalmente vota, i.e. nell’assemblea speciale di categoria». La medesima conclusione è raggiunta da G. FERRI jr., Fattispecie societaria e strumenti finanziari, in Profili patrimoniali e finanziari della riforma. Atti del convegno di Cassino 9 ottobre 2003, a cura di Caterina Montagnani, Giuffrè, 2004, 92, per il quale l’assemblea di categoria rappresenta «l’unica sede» nella quale i titolari di s.f.p. possono esercitare il diritto di voto. Escludono che i titolari di s.f.p. possano votare nella stessa assemblea dei soci anche M. NOTARI – A. GIANNELLI, Art. 2346, sesto comma, c.c., in Azioni, a cura di M. Notari, in Commentario alla riforma delle società, diretto da P. Marchetti – L. A. Bianchi – F. Ghezzi – M. Notari, Egea-Giuffrè, 2008, 98, secondo cui «occorre ribadire in ogni caso l’impossibilità di rendere il diritto di “voto” degli strumenti finanziari partecipativi un vero e proprio diritto di voto», dovendosi «sempre e comunque configurare (…) come un diritto da esercitare in un’altra assemblea, diversa da quella degli azionisti». Concorda sul punto anche N. ABRIANI, Le azioni e gli altri strumenti finanziari, in AA.VV., Le società per azioni, Cedam, 2010, 340 ss., secondo cui «il voto eventualmente riconosciuto ai portatori degli strumenti finanziari deve (…) essere da questi esercitato nell’assemblea separata di categoria, con una radicale separazione nel conteggio delle maggioranze». Nel filone interpretativo in esame si inserisce anche M. LAMANDINI, Autonomia negoziale e vincoli di sistema nella emissione di strumenti finanziari da parte delle società per azioni e delle cooperative per azioni, in Banca, borsa, tit. cred., 2003, I, 524, per il quale esistono «una serie di altri diritti che possono spettare solo alle azioni e non ad altri strumenti finanziari ma che non necessariamente spettano ad ogni azione. Ciò è particolarmente vero per i “diritti amministrativi maggiori” e segnatamente per la partecipazione alle assemblee generali (con i connessi diritti di convocazione, discussione e rinvio), il diritto di voto nelle medesime assemblee e il diritto di impugnazione delle relative delibere», la cui «inscindibile inerenza allo status di socio (…) segna un limite invalicabile all’autonomia negoziale nello strutturare i diritti partecipativi spettanti ai possessori di titoli ibridi di quasi capitale». Tenuto conto degli indici complessivamente desumibili dalla disciplina legale, A. STAGNO D’ALCONTRES, Art. 2351, in Società di capitali. Commentario, a cura di G. Niccolini e A. Stagno d’Alcontres, Jovene, 2004, I, 313, ritiene di poter ricavare «un dato certo e, cioè, che il voto dei portatori degli strumenti finanziari (…) deve concretarsi in una manifestazione collettiva di volontà espressa nell’ambito dell’assemblea settoriale». Anche ad avviso di V. SANTORO, Art. 2351, in La riforma delle società. Società per azioni. Società in accomandita per azioni, a cura di M. Sandulli e V. Santoro, Giappichelli, 2003, I, 152, «l’interpretazione più coerente» con la lettera degli artt. 2346 e 2351 c.c. è quella per cui il diritto di voto degli strumenti finanziari deve essere espresso «non nell’assemblea generale, bensì in un’assemblea speciale», con la conseguenza che «la deliberazione della loro assemblea speciale si sovrappone alla deliberazione dell’assemblea generale, condizionandone l’efficacia». Nello stesso senso anche F. GALGANO – R. GENGHINI, Il nuovo diritto societario, I, Le nuove società di capitali e cooperative, in Trattato di diritto commerciale e di diritto pubblico dell’economia, diretto da Francesco Galgano, XXIX, Cedam, 2006, 250-251, ai quali «sembra più corretto (e semplice nella prassi) ritenere che gli strumenti finanziari deliberino nelle materie loro riservate nella loro assemblea speciale», non ritenendo invece «accettabile» l’opinione che riconosce «il diritto del titolare di strumento finanziario di votare su taluni argomenti nell’assemblea generale». Così sembra concludere anche M. CIAN, Investitori non azionisti e diritti amministrativi nella «nuova» s.p.a., in Il nuovo diritto delle società. Liber amicorum Gian Franco Campobasso, diretto da P. Abbadessa e G.B. Portale, Utet, 2006, 1, 743, secondo cui la disposizione che statuisce il divieto di voto nell’assemblea generale «non spicca né per chiarezza né per pregnanza di significato, al punto da suggerire, stante la contemporanea previsione dell’art. 2351 c.c., una interpretazione minimizzante di tale divieto, come impedimento alla partecipazione fisica dei possessori di strumenti finanziari all’assemblea generale, e come necessità di dirottare il loro voto in una adunanza di categoria, o comunque al di fuori della prima». Per completezza, occorre dare atto di come, in una diversa opera, l’autore abbia tuttavia ritenuto «più congruo» rimettere allo statuto l’individuazione delle modalità – tra le quali rientra la possibilità di esprimere il voto nell’ambito dell’assemblea generale degli azionisti ovvero per corrispondenza – di partecipazione degli strumenti finanziari al momento deliberativo, «dovendosi privilegiare lo spirito di intensificazione dell’autonomia privata anche nella delineazione delle regole organizzative interne e delle procedure di produzione dell’attività sociale» (Id., Strumenti finanziari partecipativi e poteri di voice, Giuffrè, 2006, 83; contra, B. LIBONATI, op. cit., 21, per cui «il ricorso all’assemblea è necessario»). L’interpretazione che esclude la possibilità di esercizio del diritto di voto nell’ambito dell’assemblea generale degli azionisti è stata fatta propria dalla COMMISSIONE STUDI D’IMPRESA DEL CONSIGLIO NAZIONALE DEL NOTARIATO che nello Studio n. 5571/I del 25 febbraio 2005 afferma che «il «diritto di voto su argomenti specificamente indicati» può essere statutariamente costruito nel senso che esso deve essere esercitato nell’assemblea separata dei titolari di strumenti finanziari e non nell’assemblea generale degli azionisti, la quale sarà statutariamente tenuta ad uniformarsi alle indicazioni espresse in sede di assemblea separata» (corsivi dell’autore), concludendo che «il diritto di voto dovrà essere esercitato in un luogo diverso rispetto all’assemblea generale degli azionisti – assemblea che peraltro dovrà recepirne le indicazioni». Nello stesso senso anche U. TOMBARI, Strumenti finanziari «partecipativi» (art. 2346, ultimo comma, c.c.) e diritti amministrativi nella società per azioni, in Riv. dir. comm., 2006, I, 155-156. A sostegno della tesi in esame viene da diversi autori richiamata la RELAZIONE AL D. LGS. 17 GENNAIO 2003, n. 6, 118, ove si legge che «al fine nuovamente di evitare problemi applicativi di non agevole soluzione, si è precisato che gli strumenti finanziari in questione possono conferire tutti i diritti partecipativi escluso quello del diritto di voto nell’assemblea generale degli azionisti. Ciò appare necessario in quanto, data la particolarità di tali strumenti finanziari, ne potrebbero derivare molteplici incertezze e conseguenti ragioni di instabilità per il funzionamento dell’assemblea; e ne potrebbero derivare ragioni di incertezza sistematica, fonti di imprevedibili esiti interpretativi, in merito alla stessa nozione di partecipazione azionaria».
     Al contrario, per la possibilità che il diritto di voto venga esercitato nell’ambito dell’assemblea degli azionisti conclude, benché in termini dubitativi, L. ENRIQUES, Quartum non datur: appunti in tema di «strumenti finanziari partecipativi» in Inghilterra, negli Stati Uniti e in Italia, in Banca, borsa, tit. cred., 2005, I, 180, secondo cui, da un lato, «la lettera dell’art. 2351 non precluderebbe un’interpretazione estensiva, perché la competenza a nominare alcuni amministratori non è di per sé incompatibile con forme di concorso alla nomina di tutti gli amministratori» e, dall’altro, «alcuni più o meno flebili indizi a favore della soluzione estensiva si rinvengono anche nell’art. 2506-ter, comma 4°, c.c., che parla di consenso unanime dei soci e dei possessori di strumenti finanziari che danno diritto di voto (…), nell’art. 2526, comma 2°, terzo periodo, c.c., il quale, per le società cooperative, presuppone che ai titolari di s.f.p. (…) non possa «essere attribuito più di un terzo dei voti spettanti all’insieme dei soci presenti ovvero rappresentati in ciascuna assemblea generale», nonché, ora, nell’art. 106, comma 3-bis, Tuif, (…) disposizione che potrebbe avere un senso solo immaginando che il diritto di voto relativo alle due categorie di strumenti finanziari spetti nella medesima assemblea». G. MIGNONE, Art. 2351, quinto comma, in Il nuovo diritto societario. Commentario, diretto da G. Cottino, G. Bonfante, O. Cagnasso, P. Montalenti, Zanichelli, 2004, tomo I, 335 ss., pur annoverando fra le possibili soluzioni interpretative quella di consentire l’esercizio del voto nell’assemblea speciale per poi riportarne il risultato nell’assemblea generale, ritiene preferibile ammettere limitatamente i portatori di strumenti nell’assemblea generale al solo fine e nel solo momento dell’esercizio del voto per materia. Sembra propendere per questa lettura anche ASSOCIAZIONE DISIANO PREITE, Il nuovo diritto delle società, Il Mulino, 2003, 101, ove viene sottolineato come «[r]iconoscere (…) che il voto in assemblea non può essere assegnato per la generalità delle competenze di questa, ma soltanto con riguardo a specifici argomenti (…) consente di interpretare l’art. 2346, ult. comma, in sintonia con quanto disposto dall’art. 2351, ult. comma, e in coerenza con quanto previsto dall’art. 2541, a proposito del ricorso, nelle società cooperative, alle assemblee speciali per i possessori di strumenti finanziari privi di diritto di voto». Nel senso dell’ammissibilità dell’esercizio del diritto di voto nel contesto dell’assemblea generale dei soci anche A. PISANI MASSAMORMILE, Azioni e altri strumenti finanziari partecipativi, in Riv. soc., 2003, I, 1299, il quale, in relazione al diritto di nomina di un componente indipendente del consiglio di amministrazione o del consiglio di sorveglianza o di un sindaco, esclude «che si tratti di diritto esercitabile, se concesso, necessariamente fuori dall’assemblea, posto che la partecipazione ad essa consentirebbe qualcosa in più (motivazione e difesa della candidatura) che una mera designazione e, inoltre, il controllo diretto delle operazioni “elettorali”».
     In tempi più recenti si è espresso in senso favorevole alla tesi che riconosce ai titolari di s.f.p. la possibilità di esprimere il diritto di voto loro eventualmente attribuito nella stessa assemblea dei soci anche A. VALZER, Art. 2346, sesto comma, c.c., in Le società per azioni. Codice civile e norme complementari, diretto da P. Abbadessa e G.B. Portale, Giuffrè, Tomo I, 500, per il quale «se la legge ha attribuito al diritto di voto riconosciuto ai titolari di strumenti finanziari partecipativi l’effettiva valenza di concorso attivo all’adozione della decisione sociale (…) è normale concludere nel senso che tal concorso debba avvenire secondo le regole che scandiscono la formazione della volontà sociale».
     A questa lettura aderisce anche la COMMISSIONE SOCIETÀ DEL COMITATO INTERREGIONALE DEI CONSIGLI NOTARILI DELLE TRE VENEZIE, Orientamento H.J.1 (novembre 2004), secondo cui «[q]ualora gli strumenti finanziari siano dotati di diritto di voto su argomenti specificatamente indicati (…) detto diritto di voto viene esercitato nell’assemblea dei soci all’uopo convocata e non in un’assemblea speciale»; a questa conclusione si giungerebbe in forza della considerazione per cui la norma «che vieta la possibilità di emettere strumenti finanziari aventi diritto di voto nell’assemblea generale degli azionisti, deve essere interpretata come divieto di abbinare agli strumenti finanziari il diritto di voto «generale» e non anche come divieto di esercitare nell’assemblea generale degli azionisti il diritto di voto «speciale» eventualmente attribuito ai sensi del comma 5 dell’art. 2351 c.c.».

  1. – Meno indagato in dottrina è il tema delle materie in relazione alle quali può essere riconosciuto agli s.f.p. il diritto di voto.

     In termini generali, è stato evidenziato (A. PISANI MASSAMORMILE, op. cit., 1298) che «[p]arlare di argomenti “specifici” o “particolari” significa comunque: (i) non tutti gli argomenti di competenza dell’assemblea generale, ma solo alcuni; (ii) alcuni individuati a priori (dallo statuto); (iii) ed individuati in dettaglio ed in numero limitato». Conclusione analoga a quella di cui al punto (i) è sostenuta da M. CIAN, Strumenti finanziari, cit., 63 ss. (in particolare nt. 79), per cui comunque «gli argomenti specifici (…) devono concernere materie di competenza dell’assemblea» degli azionisti, restando invece escluse «forme di interferenza con le funzioni dell’organo amministrativo (…) salvo (…) che lo statuto non demandi all’assemblea generale il potere di autorizzazione di cui all’art. 2364, comma 1°, n. 5, ed in tale contesto (…) coinvolga i terzi nella decisione di tale organo» (corsivi dell’autore).
      Quanto all’estensione del catalogo delle materie in relazione alle quali può essere attribuito il diritto di voto, riconosce all’autonomia statutaria uno spazio particolarmente ampio M. CIAN, Investitori non azionisti e diritti amministrativi nella «nuova» s.p.a., in Il nuovo diritto delle società. Liber amicorum Gian Franco Campobasso, diretto da P. Abbadessa e G.B. Portale, Utet, 1, 750, per il quale «la selezione degli argomenti non incontra, sul piano qualitativo, quasi limite alcuno, con l’eccezione della nomina alle cariche sociali, rispetto alle quali deve ritenersi che la sola forma possibile di partecipazione dei terzi sia rappresentata dalla riserva di elezione del componente indipendente», con la precisazione (Id., Strumenti partecipativi, cit., 66) che «[d]etta esclusione dovrebbe altresì riguardare, per ragioni di ordine logico, le deliberazioni correlate all’elezione alle cariche sociali, ed in particolare quella concernente la quantificazione del relativo compenso». Non sembra concordare con questa conclusione B. Libonati, op. cit., 17 ss., il quale, rifiutando espressamente la tesi per cui, «stante la riserva di nomina di un componente indipendente del consiglio di amministrazione ecc. a loro favore, dovrebbe essere escluso ai portatori di strumenti finanziari un potere di veto sui medesimi argomenti trattati in assemblea generale», ammette di conseguenza la possibilità di riconoscere agli s.f.p. il diritto di partecipare al processo di selezione di tutti i componenti dell’organo amministrativo e di controllo. Propendono per una lettura meno permissiva M. NOTARI – A. GIANNELLI, op. cit., 99, per i quali deve escludersi che i titolari di s.f.p. possano vedersi riconosciuto il diritto di voto non solo in relazione alla nomina e revoca delle cariche sociali (oltre a quanto espressamente disposto dall’art. 2351, comma 5, c.c.) ma anche in tema di approvazione del bilancio e per quanto concerne decisioni «di natura gestoria o comunque di competenza degli amministratori». A sostegno di detta tesi viene evidenziato che, in relazione all’approvazione del bilancio ed alla nomina e revoca degli organi sociali, concedere ai titolari di s.f.p. il diritto di voto comporterebbe una sostanziale violazione del divieto di innalzamento dei quorum costitutivi e deliberativi sancito dall’art. 2369, comma 4, c.c.; quanto all’autorizzazione di operazioni di natura lato sensu gestoria, il voto degli s.f.p. non potrebbe riguardare direttamente la decisione degli amministratori ma semmai solamente accompagnare una necessaria deliberazione dell’assemblea dei soci. Ad analoghe conclusioni giunge anche N. ABRIANI, op. cit., 341 ss., che ritiene condivisibile «l’interpretazione che impone una adeguata selezione degli «argomenti specifici» sui quali gli strumenti finanziari possono essere chiamati a pronunciarsi, i quali devono comunque concernere materie di competenza assembleare, non potendo mai interferire con le funzioni dell’organo amministrativo», ragion per cui deve ad esempio escludersi la possibilità di attribuire ai portatori di strumenti finanziari «un autonomo potere in ordine alla concessione di autorizzazioni al compimento di atti degli amministratori, potendosi tutt’al più assegnare la possibilità di concorrere con l’assemblea ordinaria chiamata a deliberare ai sensi dell’art. 2364, n. 5», al contrario essendo esclusa «ogni forma di condizionamento della volontà sociale per quelle deliberazione per le quali l’art. 2369, 4° co., esclude la possibilità di innalzare statutariamente i quozienti assembleari» Anche L. ENRIQUES, op. cit., 181, dà conto della «possibilità che un simile meccanismo di voto-veto possa essere ritenuto in contrasto con il principio generale che vuole che certe materie (nomina degli amministratori, approvazione del bilancio) siano sottratte alla libertà statutaria al fine di consentire la facilità deliberativa», pur sottolineando che «si tratta di un principio della cui sopravvivenza alla riforma potrebbe ragionevolmente dubitarsi». Ulteriormente restrittiva è, poi, l’interpretazione proposta da G. FERRI jr., op. cit., 93, secondo cui gli «specifici argomenti» sui quali può essere attribuito diritto di voto sono esclusivamente quelli riconducibili a «materie rientranti nella competenza dell’assemblea ordinaria (…) non anche in quella dell’assemblea straordinaria».
      Un tentativo di individuare positivamente le categorie di argomenti rispetto ai quali può essere attribuito agli strumenti finanziari il diritto di voto è svolto in M. NOTARI, Le categorie speciali di azioni e gli strumenti finanziari partecipativi, in Aa.Vv., Il nuovo ordinamento delle società. Lezioni sulla riforma e modelli statutari, Ipsoa, 2003, 68 ss., ove si afferma che agli s.f.p. «può essere attribuito il diritto di voto, nella loro assemblea speciale, in ordine ad un triplice ordine di materie, e precisamente: (i) le decisioni concernenti la tutela di “interessi di classe”, nello stesso modo in cui avviene per le categorie speciali di azioni ai sensi dell’art. 2376 Codice Civile (…); (ii) le decisioni che costituiscono una modalità collettiva (ovverosia attraverso una decisione nell’assemblea speciale) di esercizio di un diritto amministrativo “sociale”, normalmente rientrante nel contenuto dei titoli azionari, ma che essi continuano a mantenere», come ad esempio «il diritto di impugnare le deliberazioni assembleari (…); (iii) le decisioni che costituiscono una modalità collettiva (sempre attraverso l’assemblea speciale), per esercitare diritti e prerogative «sottratti» all’assemblea degli azionisti, come avviene nell’ipotesi (…) in cui lo statuto riservi agli strumenti finanziari (o ad alcuni di essi) “la nomina di un componente indipendente del consiglio di amministrazione o del consiglio di sorveglianza o di un sindaco”». Sempre M. NOTARI, op. cit., 69, propende per la soluzione negativa per quanto concerne la possibilità di «attribuire ai possessori di strumenti finanziari partecipativi il diritto di votare, in modo vincolante per la società, su altre materie di competenza dell’assemblea (ad esempio l’approvazione del bilancio o un modificazione statutaria) o dell’organo amministrativo (ad esempio una specifica tipologia di operazioni gestorie di carattere straordinario)», considerato che «una simile facoltà si risolverebbe in un potere di veto a danno degli organi sociali, le cui competenze sono inderogabilmente fissate dagli artt. 2364 ss. Codice civile, da un lato, e 2380-bis ss. Codice civile, dall’altro» (corsivi dell’autore).
     Per quanto riguarda l’ampiezza con cui è possibile, in concreto, riconoscere ai titolari di s.f.p. il diritto di voto, è stato inoltre sostenuto che, ferma la legittimità di riconoscere agli stessi il diritto di voto in relazione ad una pluralità di argomenti (comunque «specificamente indicati»), l’autonomia statutaria in tale ambito non sia assoluta, non potendosi spingere fino al punto da comportare «un sostanziale aggiramento della preclusione stabilita dall’art. 2346» (M. CIAN, Strumenti finanziari, cit., 68; nello stesso senso, come supra indicato, A. PISANI MASSAMORMILE, op. cit., 1298).

     3. – L’ultimo punto toccato dalla massima è stato affrontato solo marginalmente in dottrina. Dalla diffusa qualificazione del diritto spettante ai titolari di s.f.p. come diritto di veto (anziché come vero e proprio diritto di voto; sul punto, oltre alla dottrina già citata, v. anche N. ABRIANI, op. cit., 341, secondo cui trattasi di «un vero e proprio diritto di veto nei confronti dell’assemblea») sembra potersi implicitamente desumere che, in termini generali, la dottrina prevalente tenda a escludere la possibilità che le decisioni dei titolari di s.f.p. possano sostituirsi a quelle degli azionisti o essere comunque autonome rispetto ad esse. Sul punto va segnalata la posizione particolarmente restrittiva di M. CIAN, Strumenti finanziari, cit., 71 ss., che, ricavando dal divieto di voto nell’assemblea generale degli azionisti di cui all’art. 2346, ult. comma, c.c., il «principio di conservazione della posizione di primazia dei soci nell’organo assembleare», sostiene (i) che agli s.f.p. debba essere «accordato un numero di voti necessariamente inferiore rispetto a quelli di pertinenza degli azionisti» e (ii) che detto principio comporti al contempo il «divieto di conferimento di un potere formale o sostanziale di veto rispetto ad atti societari»; dal che si può concludere che «la compartecipazione dei possessori di strumenti finanziari risulta caratterizzata innanzitutto dalla sua necessaria ancillarità, rispetto alla posizione dei soci, dovendosi ritenere esclusa la possibilità di accordare il voto in termini e con portata tali da generare potenziali situazioni in cui l’orientamento espresso dai primi prevalga su quello fatto proprio dai secondi» (per l’ultima citazione v. Id., Investitori non azionisti, cit., 748).
     Con particolare riguardo alla revoca del componente dell’organo di gestione o controllo nominato dai titolari di s.f.p., parte della dottrina ha osservato come il richiamo alla disciplina generale vigente per ogni altro componente dell’organo sociale determini necessariamente una competenza esclusiva in capo all’assemblea generale dei soci (in tal senso, A. STAGNO D’ALCONTRES, op. cit., 313; A. LOLLI, Gli strumenti finanziari, in Il nuovo diritto delle società, a cura di A. Maffei Alberti, I, Cedam, 2005, 207). In senso solo parzialmente conforme M. NOTARI – A. GIANNELLI, op. cit., 104 ss., i quali, pur evidenziando che la revoca può essere decisa «(solo) dall’assemblea dei soci secondo la disciplina applicabile al tipo di organo di cui si discute» ed escludendo che, qualora si tratti di sostituire il consigliere indipendente cessato anzitempo dalla carica, la scelta del sostituto spetti ai titolari di s.f.p., riconoscono al contempo la legittimità di una diversa previsione statutaria che preveda «(i) che la revoca del consigliere indipendente sia consentita solo ai possessori degli strumenti che lo hanno nominato, oppure anche all’assemblea degli azionisti solo qualora sussista giusta causa, oppure solo all’assemblea degli azionisti ma con la necessaria approvazione degli strumenti finanziari partecipativi cui spetta il diritto di nomina, e altresì (ii) che, in caso di cessazione del solo amministratore di nomina extra-assembleare, siano gli stessi strumenti finanziari partecipativi ad avere (nuovamente) il diritto di nominare il suo sostituto». A questa opinione aderisce espressamente A. ABU AWWAD, La «revoca riservata» degli amministratori nelle società di capitali, in Amministrazione e controllo nel diritto delle società, Giappichelli, 2010, 138 ss., che, dopo aver sottolineato come nella società per azioni, per il fatto che «la revoca costituisce il solo strumento efficace di controllo di merito sulla gestione di cui dispone l’organo assembleare», esiste l’«esigenza di mantenere fermo il potere di revoca in capo all’organo assembleare», conclude ritenendo «condivisibile l’opinione di chi nega ai titolari di s.f.p. (…) un diritto di revoca riservata», precisando altresì che «[n]ulla sembra tuttavia precludere di attribuire espressamente ai titolari di strumenti finanziari, oltre al diritto di nomina, anche il diritto di revoca (…), con la precisazione che si tratterebbe in ogni caso di un diritto di revoca concorrente con il diritto spettante all’organo assembleare». Distingue invece fra revoca senza giusta causa, riservata ai possessori di s.f.p., e revoca per giusta causa, che spetta agli azionisti, M. CIAN, Strumenti finanziari, cit., 141 ss., il quale fa comunque salva l’autonomia statutaria «almeno nel senso dell’attribuzione ai soci di un potere concorrente di revoca anche senza giusta causa» e, «probabilmente, (…) anche nel senso del conferimento a costoro di un potere esclusivo di rimozione».
     Più permissivo pare, invece, U. TOMBARI, op. cit., 159, secondo cui «in merito all’applicazione analogica al caso di specie del principio dettato per le società con partecipazione dello Stato o di enti pubblici dall’art. 2449, comma 2, c.c., (…) sembrerebbe» che «anche gli amministratori nominati ai sensi dell’art. 2351 c.c. poss[a]no essere revocati soltanto dai soggetti che li hanno nominati». [Nota bibliografica a cura di R. CASPANI]