IV. Questioni in tema di conversione del capitale sociale in euro (art. 17 d.lgs. 213/1998)
Nelle società a responsabilità limitata con capitale di
100.000 euro la nomina del collegio sindacale non è
obbligatoria.
La modifica del primo comma dell'art. 17 d.lgs. 213/1998
introdotta dall'art. 2 d.lgs. 206/1999 consente all'assemblea
straordinaria di convertire il capitale in euro
riducendolo in misura "non superiore al cinque per cento del
relativo ammontare" anche in presenza di riserve.
In sede di conversione del capitale in euro - anche ove
questa avvenga a cura degli amministratori - e comunque entro il
termine ultimo di legge è necessario anche "convertire" in euro gli
importi degli aumenti di capitale deliberati, non ancora
sottoscritti o comunque ad esecuzione differita, e quelli
relativi alle deleghe conferite ex art. 2443 c.c..
In relazione al problema del valore unitario minimo delle
quote di s.r.l., tra le varie tesi proposte, appare più
rispettosa del dettato legislativo e più idonea a prevenire
inestricabili problemi futuri la tesi per la quale, dal 1°
gennaio 2002, anche le società costituite con capitale in lire,
poi convertito in euro, dovranno avere quote di un euro o
suoi multipli.
MOTIVAZIONE
Nomina del collegio sindacale nelle s.r.l.
Com'è noto, il d.lgs. 213/1998 non ha provveduto a modificare
l'art. 2488 c.c., che, per le s.r.l., tuttora prevede (e continuerà
a prevedere anche dopo il 1° gennaio 2002, se non interverranno
modifiche) l'obbligo di nomina del collegio sindacale solo "se il
capitale sociale non è inferiore a duecento milioni di lire".
Secondo quanto disposto dall'art. 4, comma 1, del citato d.lgs.
gli importi in lire, e specificamente in migliaia di lire,
contenuti in norme vigenti si convertono in euro utilizzando due
cifre decimali.
Ne consegue che l'importo di L. 200.000.000 contenuto nell'art.
2488 c.c. si converte in 103.291,38 euro e che solo le società a
responsabilità limitata il cui capitale "non sia inferiore" a detto
importo sono tenute alla nomina del collegio sindacale.
Neppure con "un'interpretazione logica" delle norme è possibile
giungere al risultato di equiparare le s.r.l. con un capitale di
100.000 euro alle s.p.a., in quanto l'art. 2488 c.c. è norma
autonoma, che non opera tramite rinvio alla disciplina delle
s.p.a., e non potendosi ritenere abrogate, neppure implicitamente,
le norme recanti valori in lire non espressamente "ridenominate" in
euro, ove proprio l'art. 4 sopracitato (nella nuova formulazione
recata dal d.lgs. 206/1999) esprime il concetto della
convertibilità automatica dei valori in lire.
Conversione in euro con riduzione del capitale
sociale
Il primo comma dell'art. 17 d.lgs. 213/1998 consente alle
società di avvalersi, "in alternativa" alla procedura semplificata
di conversione prevista dal quinto comma dello stesso articolo, di
quanto disposto dal sesto comma.
Tale rinvio ha una serie di conseguenze:
- conferma la legittimità di procedimenti "alternativi" di
conversione rispetto a quello puramente "matematico" disciplinato
dai commi da uno a cinque del medesimo articolo;
- in tali ipotesi, e sempre in forza della "alternatività"
rispetto al quinto comma, implica il ritorno alle regole ordinarie
per le modifiche statutarie e quindi la competenza esclusiva
dell'assemblea straordinaria;
- deroga in parte alle norme generali che si occupano delle
variazioni del capitale; in particolare, stabilisce:
a) che una riduzione del capitale fino al 5 per
cento del suo ammontare con accredito del relativo importo alla
riserva legale si può attuare senza applicare l'art. 2445, comma 3,
c.c. e senza i presupposti del primo comma dello stesso articolo,
inquadrandosi comunque tra le modalità "tipiche" di conversione
disciplinate dall'art. 17 che, secondo la Relazione al
d.lgs. 213/1998, "configurano una fattispecie diversa rispetto a
quelle canoniche disciplinate dall'art. 2445 c.c.";
b) che le riserve possono essere "movimentate"
come previsto dai commi 2 e 4 (il riferimento risulta rilevante in
particolare per quanto riguarda l'utilizzo della riserva
legale).
La modifica legislativa importa superamento della massima del
Tribunale di Milano per la quale l'arrotondamento "deve" avvenire
per eccesso, fatta solo eccezione per il caso di mancanza o
insufficienza delle riserve: l'arrotondamento avviene per difetto
"automaticamente", sia per mancanza o insufficienza delle riserve
che nel caso di troncamento quando il terzo decimale sia inferiore
a 5, ma anche "volontariamente", nella fattispecie sopra
considerata.
Conversione in euro del capitale sociale c.d. "autorizzato"
o "condizionato"
Una volta convertito in euro il capitale sociale, è necessario
intervenire anche sugli importi contenuti in tutte quelle delibere
che possono successivamente determinare una variazione del capitale
stesso (dalla semplice delibera di aumento fine a se stessa, a
quella legata a fusioni, emissioni di obbligazioni convertibili
ecc., fino alla delega ex art. 2443 c.c.).
È quindi necessario operarne la conversione, utilizzando il
medesimo sistema usato col capitale e quindi, per le s.p.a.,
convertendo il valore nominale delle azioni emittende o "delegate",
moltiplicandolo per il numero delle stesse e modificando
conseguentemente l'importo massimo del capitale "delegato" o
deliberato.
Nell'esecuzione della conversione collegata all'aumento di
capitale a servizio del prestito obbligazionario è necessario
verificare che le risultanze della conversione in euro delle azioni
e della ridenominazione del prestito (che ha luogo con proprie
regole, indipendentemente dalla deliberazione relativa alla
conversione del capitale sociale) non importino violazione
dell'art. 2346 c.c.
Valore unitario delle quote di s.r.l.
Il secondo comma dell'art. 4 d.lgs. 213/1998 infatti,
modificando l'art. 2474 c.c. ed imponendo, come nuova unità di
misura minima delle quote di s.r.l., un euro, non ha previsto, come
per le s.p.a., che la nuova disposizione valga solo per le società
di nuova costituzione.
D'altra parte, l'esistenza di s.r.l. con quote decimali crea
problemi di coordinamento con la nuova normativa a regime in caso
di aumento e di riduzione del capitale, di cessione delle quote e
per l'esercizio del diritto di voto.
Le modalità di conversione in euro del capitale delle s.r.l. che
sono state ipotizzate sono sostanzialmente tre:
- conversione del capitale globale e successiva determinazione
proporzionale delle singole quote;
- conversione di ogni "unità di misura" da L. 1.000 e successiva
conseguente determinazione del capitale globale e delle singole
quote;
- conversione delle singole quote (procedimento, quest'ultimo,
di dubbia legittimità, potendo determinare l'applicazione di
criteri di arrotondamento diversi alle singole quote).
Qualsiasi sia il metodo prescelto, analogamente a quello che
avviene nelle s.p.a. è possibile che si determini, pur seguendo una
procedura di conversione di per sé legittima, un risultato "rotto"
sia della singola quota che del capitale nel suo complesso.
Secondo la tesi ritenuta preferibile bisogna, al contrario, che
già in sede di conversione si raggiunga un risultato finale
conforme al nuovo testo dell'art. 2474 c.c.
Tale risultato non è sempre ottenibile con delibera degli
amministratori.
L'assemblea straordinaria, al contrario, può:
- sempre avvalersi della procedura del sesto comma dell'art. 17
d.lgs. 213/1998 e, quindi, ridurre il capitale (magari attraverso
la conversione di ogni L. 1.000 in 0,5 euro) in modo da eliminare
decimali e centesimi;
- col consenso di tutti i soci, adottare qualsiasi metodo di
arrotondamento (aumento gratuito o a pagamento o riduzione, nei
limiti del sesto comma dell'art. 17, della singola quota);
- nei casi limite, imporre al socio con quota "rotta" il
versamento di quanto necessario per raggiungere l'unità di euro,
tenendo conto che: (i) non può che trattarsi di un importo minimo
(sempre inferiore alle 1.936,27 lire); (ii) il nostro ordinamento
ha già conosciuto il caso in cui ai soci è stato imposto un obbligo
di versamento al fine di adeguare il capitale ai nuovi minimi di
legge e, (iii) anche fattispecie in cui il singolo socio è tenuto
ad integrare la propria quota per mantenere la propria posizione
(ad esempio per realizzare il concambio da fusione) non sono
ritenute illegittime.