92. Deroga al divieto statutario di trasferimento delle partecipazioni (artt. 2355 bis - 2469 c.c.)
Non è sufficiente il consenso dei soci, espresso al di fuori
di un'assemblea straordinaria (nella s.p.a.) o di un'assemblea che
deliberi con le maggioranze e con le forme necessarie per
modificare l'atto costitutivo (nella s.r.l.), per trasferire con
effetto verso la società le azioni o le partecipazioni la cui
circolazione è vietata dallo statuto in conformità
al disposto degli articoli 2355 bis, comma 1, o 2469 c.c..
Nella s.p.a. è comunque legittima la clausola che - nel limite
temporale di cinque anni previsto dall'art. 2355 bis, comma 1, c.c.
- preveda il divieto del trasferimento delle azioni e nel contempo
l'ammissibilità del trasferimento stesso in presenza del consenso
dei soci.
Nella s.r.l. la medesima clausola determina il diritto di recesso
ai sensi dell'articolo 2469, comma 2, salva la possibilità di
escluderlo limitatamente ad un periodo massimo di due
anni.
MOTIVAZIONE
Il divieto statutario di trasferimento delle partecipazioni ha
trovato spesso applicazione nella prima prassi societaria
post-riforma: può accadere che, introdotto nello statuto il divieto
di trasferimento, si manifesti la necessità o l'opportunità di
trasferire delle partecipazioni e che tutti i soci si dichiarino
disponibili "una tantum" a consentire
tale trasferimento.
Occorre a nostro avviso considerare separatamente l'ipotesi in cui
la clausola de qua sia formulata in pedissequa aderenza alle norme
di legge dalla diversa ipotesi in cui la clausola sia redatta in
modo tale da consentire il trasferimento in presenza di eventi
determinati, dei quali il più usuale e frequente è rappresentato
dal consenso
degli (altri) soci.
Partendo dalla prima ipotesi, può apparire quantomeno oneroso
stabilire la necessità di una doppia modifica statutaria da parte
dell'assemblea - che dovrebbe prima sopprimere il divieto di
trasferimento per reintrodurlo una volta che sia stata realizzata
l'operazione desiderata.
Giova ricordare che la disciplina legale prevista per le
modificazioni dell'atto costitutivo trova applicazione soltanto nei
confronti delle clausole di cui sia riconosciuta la natura
statutaria in senso proprio, al di là del loro formale inserimento
nel documento: nei limiti della presente indagine e per quanto
interessa l'attività di controllo notarile, si può ragionevolmente
affermare che il divieto di trasferimento delle parteci-pazioni, se
rivolto genericamente ai soci o ad una categoria di azioni, è patto
di natura sociale, assoggettato alla relativa disciplina. Pertanto,
in quanto clausola statutaria contenente un patto sociale, il
divieto di trasferimento potrà essere disatteso soltanto
utilizzando il procedimento decisionale proprio dell'organizzazione
corporativa (e cioè la deliberazione collegiale) e risulterà
comunque operante nei confronti dell'organo amministrativo, poichè
gli amministratori sono tenuti a conformare il loro operato allo
statuto in senso materiale (v. art. 2392, comma 1, c.c.); sarà così
fonte di responsabilità per gli amministratori stessi
iscrivere
nel libro soci il trasferimento effettuato - seppur con il
consenso totalitario dei soci - senza la preventiva abrogazione
della clausola.
Affermata l'inderogabilità occasionale in via extra assembleare
del divieto di trasferimento in relazione alle clausole formulate
in pedissequa aderenza alle norme di legge, resta da esaminare la
seconda ipotesi e cioè se alla relativa problematica si possa
ovviare mediante l'inserimento nella clausola stessa dell'eccezione
al suo operare, che consisterà il più delle volte, come detto,
nella necessità del consenso al trasfe-rimento da parte di tutti
(od alcuni) degli altri soci, ma che potrebbe anche essere
rappresentata, ad esempio, dalla inapplicabilità del divieto ad
alcune fattispecie negoziali
di trasferimento (il pegno, la donazione...) ovvero a
trasferimenti operati a favore di determinati soggetti o categorie
di soggetti (i soci, le società da questi controllate...). Tali
casi, della cui legittimità non si può dubitare (atteso che
siffatte esclusioni convenzionali dal divieto statutario di
trasferimento si sostanziano in divieti di alienazione
oggettivamente o soggettivamente parziali) differiscono però dalla
clausola che preveda l'espressione di un consenso al fine del
legittimo trasferimento della partecipazione, in quanto, solo se
così formulata la clausola de qua risulta difficilmente
distinguibile
dalla (ed anzi sostanzialmente equiparabile alla) clausola di mero
gradimento, di guisa che soltanto in tale ipotesi saranno
applicabili le "sanzioni" previste dall'ordinamento per
l'impedimento all'esercizio del diritto di exit, e cioè inefficacia
della clausola inserita nello statuto di s.p.a. (art. 2355 bis,
comma 2, c.c.) o diritto di recesso nel caso di s.r.l. (art. 2469,
comma 2, c.c ).
Tuttavia proprio questa sostanziale equiparazione alla clausola di
mero gradimento, e quindi l'applicabilità (in toto) della
disciplina inderogabile in tema di trasferibilità delle
partecipazioni, consente a nostro avviso almeno due
considerazioni.
La clausola che vieta il trasferimento delle partecipazioni salvo
il consenso degli altri soci, inserita nello statuto di s.p.a. (con
azioni nominative o non emesse), è efficace quando il divieto è
contenuto nel limite temporale di cinque anni ed analogamente, se
prevista nello statuto di s.r.l., può essere accompagnata
all'esclusione del diritto di recesso nel limite temporale di due
anni; è palese infatti, anche in tema di s.p.a., che l'incidenza
del vincolo apposto in tali ipotesi alla circolazione della
partecipazione (consenso degli altri soci o, se si vuole, mero
gradimento) è comunque di grado inferio-re al divieto assoluto di
trasferibilità.
Quando invece non siano espressi limiti temporali di operatività
conformi a quelli di cui all'articolo 2355 bis, nella s.p.a. la
clausola sarà efficace unicamente nell'ipotesi in cui sia prevista
l'applicazione, per il caso di mancato consenso trasferi-mento, dei
"correttivi" indicati nell'art. 2355 bis stesso, comma 2, c.c. e
cioè obbligo di acquisto a carico della società o degli altri soci
oppure diritto di recesso dell'alienante. Ad identiche conclusioni
questa Commissione è del resto già pervenuta in tema di prelazione
impropria (vedi massime 85-86); si ricordano inoltre i principi
affermati in tema di gradimento nelle massime 31, 32, 33, 34.