177 Assemblee speciali dei titolari di categorie di quote di s.r.l. PMI (art. 26, comma 2, d.l. 179/2012; art. 2376 c.c.)
Massima
Qualora una s.r.l. PMI abbia emesso una o più categorie di
quote, l'assunzione di una decisione dei soci che pregiudica i
diritti di una categoria deve essere approvata anche dai titolari
delle quote di tale categoria. In mancanza di diversa disposizione
dello statuto, l'approvazione viene rilasciata con deliberazione
dell'assemblea speciale dei titolari delle quote della categoria
interessata, secondo le maggioranze, le modalità e le forme
previste dalla legge e dallo statuto per le deliberazioni
assembleari di modifica dello statuto.
Lo statuto può comunque prevedere, anche in deroga a quanto
sopra, che l'approvazione della decisione pregiudizievole richieda
una maggioranza rafforzata dei titolari delle quote della categoria
interessata o il loro consenso unanime. Lo statuto può altresì
prevedere che l'approvazione della decisione pregiudizievole
consegua non già a un'apposita deliberazione dell'assemblea
speciale dei titolari delle quote della categoria interessata,
bensì alla loro manifestazione del voto o del consenso nella stessa
assemblea generale dei soci che assume la decisione pregiudizievole
o in altra forma.
Si deve in ogni caso ritenere che, pur in assenza di una
apposita clausola statutaria, l'assemblea generale possa
validamente ed efficacemente deliberare, in unica sede, allorché
consti l'intervento e il voto favorevole dei titolari della
totalità delle quote della categoria che devono rendere
l'approvazione, senza che sia necessaria un'apposita convocazione
e/o una riunione separata dei soli soci titolari delle quote della
categoria interessata.
Motivazione
In presenza di categorie di quote, si pone il problema delle
modalità e delle condizioni che rendono possibile la modificazione
dei diritti ad esse attribuiti dallo statuto, sia nel senso di
valutare quale disciplina sia applicabile qualora lo statuto nulla
preveda al riguardo, sia per stabilire se sia possibile che lo
statuto disciplini tali modalità e condizioni, ed eventualmente in
che limiti.
Le alternative che si pongono all'interprete sono
sostanzialmente tre:
(a) la tesi più "restrittiva", ovvero dell'applicazione
della regola dettata per la modificazione dei diritti particolari
dall'art. 2468, quarto comma c.c., che, appunto in assenza di
"diversa disposizione dell'atto costitutivo", richiede il consenso
di tutti i soci (come tali intendendosi tutti i soci titolari delle
quote della categoria interessata);
(b) la tesi più "liberale", ovvero dell'applicazione
delle ordinarie regole, di legge o statutarie, di
modificazione dello statuto, senza richiedere l'approvazione
specifica dei soci titolari delle quote della categoria interessata
se non in quanto aventi diritto al voto nell'assemblea "generale"
chiamata a deliberare la modificazione dei diritti attribuiti
alla categoria stessa (diritto di voto che potrebbe per altro
essere escluso proprio per le caratteristiche della categoria
interessata), aprendosi in tal caso il problema della
spettanza del diritto di recesso a quei soci, titolari di quote
della categoria interessata, che non abbiano concorso
all'approvazione della delibera, in analogia con quanto previsto
dall'art. 2473 c.c. per i soci titolari di diritti particolari
modificabili senza consenso unanime;
(c) la tesi "intermedia" dell'applicazione analogica
dell'art. 2376 c.c., dettato per le s.p.a., che impone
l'approvazione, da parte dell'assemblea speciale dei titolari di
azioni di categoria, delle (sole) deliberazioni dell'assemblea che
"pregiudicano i relativi diritti".
Quest'ultima soluzione, che vede concorde pressoché tutta la
dottrina che ne ha trattato, sembra in effetti quella preferibile,
in quanto coerente con una qualificazione dei diritti della
speciale categoria non più come individuali ma come collettivi, e
con ciò soggetti alle normali regole societarie di disposizione e
gestione da parte della maggioranza dei relativi titolari. Una
volta che si concordi con l'applicazione analogica dell'art. 2376
c.c., l'evidente corollario è che divengano applicabili alle
assemblee "speciali" dei titolari delle quote di categoria le
regole di legge e di statuto che disciplinano le assemblee generali
di modificazione dello statuto, analogamente a quanto avviene nelle
s.p.a. (v. massima n. 162).
Quanto alla seconda questione, è possibile che lo statuto regoli
le modalità di modificazione dei diritti attribuiti alle categorie
di quote, secondo il principio generale che dà ampio spazio
all'autonomia negoziale nel regolare il funzionamento delle s.r.l.,
principio confermato anche in materia di diritti particolari
(individuali) dei soci nello stesso art. 2468 comma 4, c.c., che
autorizza a disciplinare nell'atto costitutivo le modalità di
modificazione di tali diritti con regole diverse dall'unanimità.
In via statutaria si potrà quindi prevedere, ad esempio:
(i) una maggioranza per la valida costituzione
dell'assemblea "speciale" diversa da quella prevista dalla legge (o
dallo statuto) per la valida costituzione dell'assemblea generale;
(ii) maggioranze rafforzate o comunque particolari per
l'approvazione, da parte dei soci titolari di quote della categoria
interessata, delle modifiche dei diritti particolari;
(iii) la necessità del consenso di tutti i soci titolari
delle quote della categoria interessata; (iv)
l'espressione del consenso dei soci titolari delle quote della
categoria interessata nell'ambito dell'assemblea generale chiamata
ad approvare le modifiche, senza costituzione di un'assemblea
"speciale"; (v) meccanismi e forme diversi di acquisizione
del consenso dei soci titolari delle quote di categoria speciale,
anche prevedendo modalità extra assembleari, senza particolari
vincoli di forma, purché ne sia possibile acquisire idonea
documentazione.
La possibilità che lo statuto preveda maggioranze diverse da
quelle previste dalla legge per le modifiche statutarie, sia per la
valida costituzione delle assemblee "speciali" dei titolari di
quote di categoria sia per l'approvazione da parte di tali soci
delle modifiche ai diritti delle quote di categoria, discende dalle
stesse norme che disciplinano le maggioranze richieste per la
valida assunzione delle decisioni dei soci in generale. Gli artt.
2479 e 2479 bis c.c., ai quali si deve far riferimento come regole
di assunzione delle delibere di tutti i soci della s.r.l., compresi
quelli titolari di quote di categoria, lasciano spazio
all'autonomia negoziale, consentendo ampie deroghe alle maggioranze
ivi previste.
Anche la possibilità che lo statuto richieda il consenso di
tutti i soci titolari delle quote della categoria interessata trova
fondamento su tali norme (v. massima n. 42), oltre che sul
principio di necessità del consenso unanime per la modificazione
dei diritti particolari individuali contenuta nell'art. 2468 comma
4 c.c.
La libertà negoziale che caratterizza la disciplina delle
s.r.l., e l'assenza di regole esplicite per l'espressione del
consenso dei soci titolari di quote di categoria, consente di
prevedere in statuto che tale consenso (non solo possa ma
addirittura) debba essere espresso nell'assemblea generale chiamata
ad approvare le modifiche ai diritti particolari.
Mentre la modificazione dei diritti della categoria di quote
costituisce una modificazione statutaria che deve essere adottata
dall'assemblea generale con le forme previste per tali modifiche,
il consenso dei soci titolari delle quote della categoria
interessata ne costituisce solo condizione di efficacia. Pertanto
lo statuto può prevedere che tale ultimo consenso sia espresso in
forma diversa da quella richiesta per le modifiche statutarie.
Resta impregiudicato il problema della tutela individuale del
socio titolare di quote della categoria i cui diritti vengano
modificati, che non abbia approvato le modifiche, per una disamina
del quale valgono le considerazioni svolte nella motivazione della
massima 172.