168. Diritto di nomina di amministratori e sindaci da parte degli strumenti finanziari partecipativi (art. 2346, comma 6, e 2351, comma 5, c.c.)
Qualora agli strumenti finanziari partecipativi di cui all'art.
2346, comma 6, c.c., sia attribuito il diritto di nominare «un
componente indipendente del consiglio di amministrazione o del
consiglio di sorveglianza o [...] un sindaco», ai sensi dell'art.
2351, comma 5, c.c., lo statuto (o il regolamento allegato allo
statuto) può liberamente disciplinare le modalità con cui tale
diritto può essere esercitato, fermo restando il divieto di
attribuire agli strumenti finanziari partecipativi il diritto di
voto «nell'assemblea generale degli azionisti». È pertanto
possibile, ad esempio, che la decisione o la deliberazione degli
strumenti finanziari partecipativi dia luogo a una nomina
immediatamente efficace oppure che abbia ad oggetto una nomina i
cui effetti si producono contestualmente alla deliberazione
assembleare di nomina dei restanti membri del nuovo
organo.
Lo statuto (o il regolamento allegato allo statuto) può altresì
attribuire agli strumenti finanziari partecipativi il diritto di
nominare o di designare i componenti degli organi sociali che siano
eventualmente cessati dalla carica, per qualsivoglia motivo,
durante il mandato dell'organo di cui facevano parte.
In caso di emissione di diverse categorie di strumenti
finanziari partecipativi, lo statuto (o il regolamento allegato
allo statuto) può attribuire a ciascuna di esse il diritto di
nominare o di designare «un componente indipendente del consiglio
di amministrazione o del consiglio di sorveglianza o [...] un
sindaco», fermo restando che il numero totale dei membri di
spettanza degli strumenti finanziari partecipativi deve comunque
essere inferiore alla metà dei componenti del rispettivo
organo.
MOTIVAZIONE
L'art. 2351, comma 5, c.c. consente che agli strumenti
finanziari «forniti di diritti patrimoniali o anche di diritti
amministrativi» di cui all'art. 2346, comma 6, c.c. («s.f.p.») sia
«riservata, secondo modalità stabilite dallo statuto, la nomina di
un componente indipendente del consiglio di amministrazione o del
consiglio di sorveglianza o di un sindaco». Circa le modalità con
cui tale riserva possa attuarsi, null'altro si legge nel testo
normativo se non un pieno rinvio all'autonomia statutaria: la quale
può estrinsecarsi in plurime direzioni sia all'interno del
documento statutario (statuto in senso formale), sia all'interno di
apposito regolamento di disciplina degli s.f.p. approvato
dall'assemblea straordinaria e allegato, quale parte integrante, al
documento statutario (regolamento che appartiene pienamente allo
statuto in senso sostanziale), con il quale viene depositato nel
registro delle imprese. L'unico limite in proposito proviene
dall'art. 2346, comma 6, c.c., che esclude radicalmente «il voto
nell'assemblea generale degli azionisti».
Se, come pare corretto benché non pacifico, si interpreta tale
esclusione come inammissibilità del cumulo indifferenziato delle
presenze e dei voti relativi agli azionisti e ai titolari di s.f.p.
nel calcolo dei quorum costitutivi e deliberativi delle assemblee
degli azionisti, affinché restino distinte le decisioni imputabili
agli azionisti rispetto a quelle imputabili ai portatori di s.f.p.
anche quando l'effetto socialmente vincolante derivi dall'insieme
delle due decisioni (il che a sua volta risponde alla logica di
evitare che una deliberazione ordinariamente di competenza degli
azionisti sia adottata per volontà dei titolari di s.f.p. senza che
abbia riportato i consensi minimi degli azionisti richiesti dalla
legge), si possono, dunque, ipotizzare le seguenti
modalità:
(a) nomina diretta da parte dell'assemblea dei titolari di
s.f.p., con quorum liberamente definiti, destinata ad assumere
efficacia al momento dell'accettazione della carica, con sua
diretta pubblicità nel registro delle imprese;
(b) designazione, da parte dell'assemblea dei titolari di
s.f.p., di soggetto che l'assemblea degli azionisti nominerà nella
carica, se del caso includendolo nella rosa dei componenti
dell'organo insieme a quelli nominati dagli azionisti;
(c) nomina da parte dell'assemblea degli azionisti subordinata
nell'efficacia all'approvazione da parte dell'assemblea dei
titolari di s.f.p.;
(d) nomina diretta o designazione per la nomina o approvazione
di nomina, come nei punti che precedono, da effettuarsi dai
titolari di s.f.p. con modalità non collegiali di formazione della
loro decisione, quali il consenso espresso per iscritto, la
consultazione scritta, la volontà individuale preformata e
trasmessa per corrispondenza alla società in occasione delle
assemblee degli azionisti e/o la sua espressione in forma orale
durante lo svolgimento di quelle assemblee o direttamente (ove al
singolo titolare di s.f.p. sia a tal fine attribuito il diritto di
intervento) o mediante un rappresentante comune.
Libera deve ritenersi anche la scelta del criterio di
maggioranza (e di quale maggioranza) o di unanimità alla quale
improntare le decisioni dei titolari di s.f.p. al riguardo, senza
che rilevi la modalità collegiale o non collegiale della formazione
di tali decisioni.
Può essere utile precisare che l'ammissibilità della formazione
delle decisioni sulla nomina con modalità non collegiali non è
ostacolata dalla inclusione della «riserva di nomina» nella
disposizione (art. 2351 c.c.) dedicata al diritto di voto e
nell'essere detta «riserva» contemplata quale particolare
concretizzazione della possibilità che gli s.f.p. siano dotati del
«diritto di voto su argomenti specificamente indicati». In primo
luogo, il diritto di voto in senso stretto è perfettamente
compatibile con una tecnica non assembleare di formazione delle
decisioni quale quella referendaria della consultazione scritta,
nonché con una tecnica non collegiale come il voto per
corrispondenza in cui i voti espressi dai titolari di s.f.p. siano
direttamente rilevati nell'assemblea degli azionisti senza una
previa, per vero inutile, rilevazione dei risultati in un'apposita
assemblea dei titolari di s.f.p. In secondo luogo, il diritto di
voto può rappresentare, nella logica della disposizione dedicata
principalmente al diritto di voto attribuito dalle azioni, lo
strumento principale, ma non necessariamente l'unico, con cui
consentire ai titolari di s.f.p. di partecipare alle decisioni
sociali: ciò in quanto, mentre le azioni sono destinate alla
circolazione e possono distribuirsi su un'ampia base sociale della
quale l'assemblea rappresenta il luogo di confluenza per la
formazione di decisioni talora di vitale importanza, gli s.f.p.
possono non essere trasferibili e rimanere nelle mani di singoli o
pochi titolari per le cui decisioni, che mai possono impedire o
aggravare quelle «necessarie per la sopravvivenza» di cui all'art.
2369, comma 4, c.c., l'organizzazione di un'apposita assemblea
potrebbe risultare fonte di costi e inefficienze, tant'è che non è
prescritta da alcuna norma, né è ricavabile dal sistema, bensì è
rimessa alla valutazione dei soci in sede di istituzione degli
s.f.p.
Nella massima si preferisce, inoltre, chiarire che la clausola
statutaria può esplicitamente estendere il diritto di nomina al
caso in cui cessi dalla carica il soggetto nominato dai titolari di
s.f.p.: il punto non è dubbio ed anzi rappresenta un opportuno
completamento della disciplina in materia, al di là della
deducibilità della riserva di nomina nella fattispecie pur nel
silenzio della singola clausola, in considerazione del fatto che si
discute se il potere di revoca del nominato dai titolari di s.f.p.
spetti a questi ultimi, all'assemblea o a entrambi (v. la nota
bibliografica in calce).
Per finire, si affronta la questione della portata della
riserva di nomina di un componente delle cariche: se l'art. 2351
c.c. ponga in tema un tetto massimo assoluto ovvero un limite
applicabile in relazione alle singole categorie di strumenti
finanziari emessi.
Nella prima ipotesi interpretativa, in caso di pluralità di
categorie, la clausola deve prevedere e regolare la partecipazione
di tutti i portatori di s.f.p. alla decisione. Nella seconda
ipotesi interpretativa ciò non è strettamente necessario, poiché
ogni categoria può vedersi riservata la nomina di un componente.
Sebbene la lettera della norma sembri dare ragione ai sostenitori
della prima tesi, la massima aderisce al più nutrito orientamento
opposto per la ragione di carattere sostanziale e sistematico che
l'emissione di diverse categorie di s.f.p. crea una pluralità di
centri di interesse che potrebbero non essere adeguatamente
rappresentati, sia nel confronto con gli azionisti sia nei rapporti
interni tra titolari di s.f.p. eterogenei.
Per contro, la tesi che assolutizza il limite di un componente
riservato finisce per parificare situazioni diverse a seconda del
numero di cui sono composti gli organi sociali: ad es. in un
consiglio di amministrazione composto di sette o di due membri
sarebbe consentire riservare sempre un solo amministratore, anche
se nel primo caso la sua presenza sarebbe pressoché irrilevante sul
piano decisorio, mentre nel secondo caso sarebbe determinante,
nessuna decisione potendo prendersi senza il suo consenso. Sembra
allora preferibile l'interpretazione che, nel valorizzare i
principi di fondo ricavabili dal sistema delle società per azioni,
da un lato afferma l'esigenza che agli azionisti sia riservata la
nomina della maggioranza degli organi di amministrazione e
controllo e dall'altro ammette che in presenza di più categorie di
s.f.p. sia possibile riservare a costoro una minoranza di
componenti, ciascuno espressione di un diverso gruppo di
interessi.
Qualora agli strumenti
finanziari partecipativi di cui all'art. 2346, comma 6, c.c., sia
attribuito il diritto di nominare «un componente indipendente del
consiglio di amministrazione o del consiglio di sorveglianza o
[...] un sindaco», ai sensi dell'art. 2351, comma 5, c.c., lo
statuto (o il regolamento allegato allo statuto) può liberamente
disciplinare le modalità con cui tale diritto può essere
esercitato, fermo restando il divieto di attribuire agli strumenti
finanziari partecipativi il diritto di voto «nell'assemblea
generale degli azionisti». È pertanto possibile, ad esempio, che la
decisione o la deliberazione degli strumenti finanziari
partecipativi dia luogo a una nomina immediatamente efficace oppure
che abbia ad oggetto una nomina i cui effetti si producono
contestualmente alla deliberazione assembleare di nomina dei
restanti membri del nuovo organo.
Lo statuto (o il
regolamento allegato allo statuto) può altresì attribuire agli
strumenti finanziari partecipativi il diritto di nominare o di
designare i componenti degli organi sociali che siano eventualmente
cessati dalla carica, per qualsivoglia motivo, durante il mandato
dell'organo di cui facevano parte.
In caso di emissione di
diverse categorie di strumenti finanziari partecipativi, lo statuto
(o il regolamento allegato allo statuto) può attribuire a ciascuna
di esse il diritto di nominare o di designare «un componente
indipendente del consiglio di amministrazione o del consiglio di
sorveglianza o [...] un sindaco», fermo restando che il numero
totale dei membri di spettanza degli strumenti finanziari
partecipativi deve comunque essere inferiore alla metà dei
componenti del rispettivo organo.
MOTIVAZIONE
L'art. 2351, comma 5, c.c. consente
che agli strumenti finanziari «forniti di diritti patrimoniali o
anche di diritti amministrativi» di cui all'art. 2346, comma 6,
c.c. («s.f.p.») sia «riservata, secondo modalità stabilite dallo
statuto, la nomina di un componente indipendente del consiglio di
amministrazione o del consiglio di sorveglianza o di un sindaco».
Circa le modalità con cui tale riserva possa attuarsi, null'altro
si legge nel testo normativo se non un pieno rinvio all'autonomia
statutaria: la quale può estrinsecarsi in plurime direzioni sia
all'interno del documento statutario (statuto in senso formale),
sia all'interno di apposito regolamento di disciplina degli s.f.p.
approvato dall'assemblea straordinaria e allegato, quale parte
integrante, al documento statutario (regolamento che appartiene
pienamente allo statuto in senso sostanziale), con il quale viene
depositato nel registro delle imprese. L'unico limite in proposito
proviene dall'art. 2346, comma 6, c.c., che esclude radicalmente
«il voto nell'assemblea generale degli azionisti».
Se, come pare corretto benché non
pacifico, si interpreta tale esclusione come inammissibilità del
cumulo indifferenziato delle presenze e dei voti relativi agli
azionisti e ai titolari di s.f.p. nel calcolo dei quorum
costitutivi e deliberativi delle assemblee degli azionisti,
affinché restino distinte le decisioni imputabili agli azionisti
rispetto a quelle imputabili ai portatori di s.f.p. anche quando
l'effetto socialmente vincolante derivi dall'insieme delle due
decisioni (il che a sua volta risponde alla logica di evitare che
una deliberazione ordinariamente di competenza degli azionisti sia
adottata per volontà dei titolari di s.f.p. senza che abbia
riportato i consensi minimi degli azionisti richiesti dalla legge),
si possono, dunque, ipotizzare le seguenti modalità:
(a) nomina diretta da parte
dell'assemblea dei titolari di s.f.p., con quorum liberamente
definiti, destinata ad assumere efficacia al momento
dell'accettazione della carica, con sua diretta pubblicità nel
registro delle imprese;
(b) designazione, da parte
dell'assemblea dei titolari di s.f.p., di soggetto che l'assemblea
degli azionisti nominerà nella carica, se del caso includendolo
nella rosa dei componenti dell'organo insieme a quelli nominati
dagli azionisti;
(c) nomina da parte
dell'assemblea degli azionisti subordinata nell'efficacia
all'approvazione da parte dell'assemblea dei titolari di
s.f.p.;
(d) nomina diretta o
designazione per la nomina o approvazione di nomina, come nei punti
che precedono, da effettuarsi dai titolari di s.f.p. con modalità
non collegiali di formazione della loro decisione, quali il
consenso espresso per iscritto, la consultazione scritta, la
volontà individuale preformata e trasmessa per corrispondenza alla
società in occasione delle assemblee degli azionisti e/o la sua
espressione in forma orale durante lo svolgimento di quelle
assemblee o direttamente (ove al singolo titolare di s.f.p. sia a
tal fine attribuito il diritto di intervento) o mediante un
rappresentante comune.
Libera deve ritenersi anche la
scelta del criterio di maggioranza (e di quale maggioranza) o di
unanimità alla quale improntare le decisioni dei titolari di s.f.p.
al riguardo, senza che rilevi la modalità collegiale o non
collegiale della formazione di tali decisioni.
Può essere utile precisare che
l'ammissibilità della formazione delle decisioni sulla nomina con
modalità non collegiali non è ostacolata dalla inclusione della
«riserva di nomina» nella disposizione (art. 2351 c.c.) dedicata al
diritto di voto e nell'essere detta «riserva» contemplata quale
particolare concretizzazione della possibilità che gli s.f.p. siano
dotati del «diritto di voto su argomenti specificamente indicati».
In primo luogo, il diritto di voto in senso stretto è perfettamente
compatibile con una tecnica non assembleare di formazione delle
decisioni quale quella referendaria della consultazione scritta,
nonché con una tecnica non collegiale come il voto per
corrispondenza in cui i voti espressi dai titolari di s.f.p. siano
direttamente rilevati nell'assemblea degli azionisti senza una
previa, per vero inutile, rilevazione dei risultati in un'apposita
assemblea dei titolari di s.f.p. In secondo luogo, il diritto di
voto può rappresentare, nella logica della disposizione dedicata
principalmente al diritto di voto attribuito dalle azioni, lo
strumento principale, ma non necessariamente l'unico, con cui
consentire ai titolari di s.f.p. di partecipare alle decisioni
sociali: ciò in quanto, mentre le azioni sono destinate alla
circolazione e possono distribuirsi su un'ampia base sociale della
quale l'assemblea rappresenta il luogo di confluenza per la
formazione di decisioni talora di vitale importanza, gli s.f.p.
possono non essere trasferibili e rimanere nelle mani di singoli o
pochi titolari per le cui decisioni, che mai possono impedire o
aggravare quelle «necessarie per la sopravvivenza» di cui all'art.
2369, comma 4, c.c., l'organizzazione di un'apposita assemblea
potrebbe risultare fonte di costi e inefficienze, tant'è che non è
prescritta da alcuna norma, né è ricavabile dal sistema, bensì è
rimessa alla valutazione dei soci in sede di istituzione degli
s.f.p.
Nella massima si
preferisce, inoltre, chiarire che la clausola statutaria può
esplicitamente estendere il diritto di nomina al caso in cui cessi
dalla carica il soggetto nominato dai titolari di s.f.p.: il punto
non è dubbio ed anzi rappresenta un opportuno completamento della
disciplina in materia, al di là della deducibilità della riserva di
nomina nella fattispecie pur nel silenzio della singola clausola,
in considerazione del fatto che si discute se il potere di revoca
del nominato dai titolari di s.f.p. spetti a questi ultimi,
all'assemblea o a entrambi (v. la nota bibliografica in calce).
Per finire, si affronta la
questione della portata della riserva di nomina di un componente
delle cariche: se l'art. 2351 c.c. ponga in tema un tetto massimo
assoluto ovvero un limite applicabile in relazione alle singole
categorie di strumenti finanziari emessi.
Nella prima ipotesi
interpretativa, in caso di pluralità di categorie, la clausola deve
prevedere e regolare la partecipazione di tutti i portatori di
s.f.p. alla decisione. Nella seconda ipotesi interpretativa ciò non
è strettamente necessario, poiché ogni categoria può vedersi
riservata la nomina di un componente. Sebbene la lettera della
norma sembri dare ragione ai sostenitori della prima tesi, la
massima aderisce al più nutrito orientamento opposto per la ragione
di carattere sostanziale e sistematico che l'emissione di diverse
categorie di s.f.p. crea una pluralità di centri di interesse che
potrebbero non essere adeguatamente rappresentati, sia nel
confronto con gli azionisti sia nei rapporti interni tra titolari
di s.f.p. eterogenei.
Per contro, la tesi che
assolutizza il limite di un componente riservato finisce per
parificare situazioni diverse a seconda del numero di cui sono
composti gli organi sociali: ad es. in un consiglio di
amministrazione composto di sette o di due membri sarebbe
consentire riservare sempre un solo amministratore, anche se nel
primo caso la sua presenza sarebbe pressoché irrilevante sul piano
decisorio, mentre nel secondo caso sarebbe determinante, nessuna
decisione potendo prendersi senza il suo consenso. Sembra allora
preferibile l'interpretazione che, nel valorizzare i principi di
fondo ricavabili dal sistema delle società per azioni, da un lato
afferma l'esigenza che agli azionisti sia riservata la nomina della
maggioranza degli organi di amministrazione e controllo e
dall'altro ammette che in presenza di più categorie di s.f.p. sia
possibile riservare a costoro una minoranza di componenti, ciascuno
espressione di un diverso gruppo di interessi.