144. Azioni a voto "diverso" e quorum assembleari (artt. 2351, 2357-ter, comma 2, 2368, 2369 c.c., 120, 127-quinquies, 127-sexies t.u.f.)
In presenza
di azioni a voto plurimo, a voto limitato o senza diritto di voto,
ai fini del calcolo dei quorum richiesti dalla legge e dallo
statuto per la costituzione dell'assemblea ordinaria e
straordinaria e per l'assunzione delle relative deliberazioni, si
computa il numero dei voti spettanti alle azioni e non il numero
delle azioni o la parte di capitale da esse rappresentata, salva
una diversa disposizione statutaria.
In caso di
azioni il cui diritto di voto è suscettibile di variazione in
dipendenza di situazioni soggettive dell'azionista, si ritiene
che:
(i) ai fini del calcolo dei quorum il cui denominatore
sia costituito dal capitale sociale "totale", si debba computare il
numero dei voti spettanti a tutte le azioni emesse, al momento
dell'assemblea, tenendo conto delle situazioni soggettive
risultanti alla società in forza dei criteri applicabili a seconda
delle tecniche di legittimazione e circolazione delle azioni di
volta in volta applicabili;
(ii) ai fini del calcolo dei quorum il cui
denominatore sia costituito dal capitale sociale "rappresentato in
assemblea", si debba computare il numero dei voti effettivamente
spettanti alle azioni intervenute in assemblea;
il tutto
fatto salvo il disposto degli artt. 2368, comma 3, e 2357-ter,
comma 2, c.c.
Motivazione
1. - La
determinazione dei quorum costitutivi e deliberativi delle
assemblee di s.p.a. richiede due distinte "operazioni", che
potremmo definire come il computo delle azioni e il
calcolo dei quorum. Il "computo delle azioni" consiste nel
conteggio del numero delle azioni sulle quali si deve poi
calcolare il quorum richiesto ai fini della valida
costituzione dell'assemblea (quorum costitutivo) o ai fini della
valida assunzione di una deliberazione (quorum deliberativo). Il
"calcolo dei quorum" consiste invece nella determinazione in
concreto, di volta in volta, del numero di azioni o di
voti favorevoli necessario per la costituzione dell'assemblea
o per l'assunzione della deliberazione.
La "base di
calcolo" che si ottiene dal computo delle azioni (e sulla quale si
deve calcolare il quorum) è anche definita quale
"denominatore" della frazione, mentre il numero di azioni
necessario per la costituzione o la deliberazione è individuato
come "numeratore" della frazione medesima. Così, ad
esempio, là dove si stabilisce che l'assemblea straordinaria di
seconda convocazione "delibera con il voto favorevole di almeno i
due terzi del capitale rappresentato in assemblea", al
denominatore si pone il numero delle azioni presenti,
mentre al numeratore si pone il numero dei voti necessari
per assumere la deliberazione.
Nel regime
legale delle deliberazioni assembleari di società per azioni, la
"base di calcolo" per la determinazione dei quorum assembleari è
talvolta costituita dal capitale sociale tout court
("capitale totale") e altre volte dal capitale sociale
rappresentato in assemblea ("capitale rappresentato"). Mentre il
"capitale totale" è suscettibile di essere utilizzato come base di
calcolo ai fini sia dei quorum costitutivi sia di
quelli deliberativi, il "capitale rappresentato" per sua natura può
essere utilizzato come base di calcolo solo per i quorum
deliberativi. E del resto, nel regime legale delle società per
azioni, l'ordinamento si avvale del "capitale totale" quale base di
calcolo talvolta per i quorum costitutivi e talaltra per i quorum
deliberativi, mentre utilizza il "capitale rappresentato" solo ai
fini del calcolo dei quorum deliberativi.
Quando la base
di calcolo sia data dal "capitale totale", la legge si riferisce al
capitale sociale sottoscritto al momento in cui si svolge
l'assemblea. Ancor meglio dovremmo dire che si deve prendere a
riferimento, più che la cifra del capitale sociale, il numero
totale delle azioni emesse al momento della riunione
assembleare. Quando invece la base di calcolo è costituita dal
"capitale rappresentato", la legge si riferisce alla parte di
capitale "presente in assemblea" ossia al numero di azioni
intervenute, in ordine alle quali è stato in concreto
esercitato il diritto di intervento da parte del soggetto
a ciò legittimato, in proprio o mediante un suo delegato.
2. - I concetti
e i principi sin qui esposti trovano applicazione senza particolari
problemi allorché si dia luogo alla fattispecie paradigmatica
secondo la quale tutte le azioni attribuiscono il diritto
di voto e ciascuna azione attribuisce diritto a un voto.
Essi richiedono invece una sorta di "adattamento" qualora ci si
discosti dalla regola "un'azione, un voto", nelle ipotesi e nei
limiti in cui ciò sia consentito dalla legge. Ed è proprio su tale
"adattamento" che si esprime la massima in epigrafe (che non prende
tuttavia in considerazione le ulteriori possibili situazioni
"perturbanti", quali la sospensione del diritto di voto, la
presenza di azioni proprie o di azioni in conflitto di interessi,
essenzialmente disciplinate dagli artt. 2368, comma 3, e
2357-ter, comma 2, c.c.).
La regola
"un'azione, un voto", in seguito alla modifica dell'art. 2351 c.c.,
ad opera del d.l. 91/2014, è derogabile sia verso il basso che
verso l'alto. Verso il basso, può essere ridotto o anche eliminato
il numero di voti spettanti a ciascuna azione, fermo restando il
limite complessivo delle azioni a voto non pieno (art. 2351, comma
2, c.c.). Verso l'alto, può essere aumentato il numero di voti
spettanti a ciascuna azione, sino al limite massimo di tre voti per
azione (art. 2351, comma 4, c.c.). Tanto la riduzione quanto
l'incremento del numero dei voti possono essere configurati dallo
statuto in modalità diverse: possono essere fissi o variabili nel
tempo, possono riguardare tutte le deliberazioni o alcune di esse,
così come possono dipendere da condizioni non meramente potestative
(come espressamente previsto dall'art. 2351, comma 3 c.c., per la
riduzione del voto, da ritenersi applicabile anche all'ipotesi di
incremento del voto). Tali condizioni possono a loro volta
riguardare in modo "oggettivo" tutte le azioni a cui si applica la
diminuzione o l'incremento del voto (ad esempio il raggiungimento o
il mancato raggiungimento di determinati risultati economici da
parte della società, il verificarsi di determinati eventi
riguardanti la società o altre vicende previste dallo statuto),
così come possono dipendere da situazioni "soggettive" legate al
titolare delle azioni (ad esempio la sussistenza o meno di
determinati requisiti soggettivi dell'azionista, quali la forma
giuridica o l'età, oppure il numero di azioni possedute
dall'azionista, etc.).
In tutti questi
casi di azioni a voto "quantitativamente" diverso occorre
pertanto adeguare i criteri coi quali si procede sia al computo
delle azioni che al calcolo dei quorum.
La massima
afferma la necessità - in tutti i casi di computo delle azioni, sia
quando la base di calcolo è data dal "capitale totale", sia quando
essa è costituita dal "capitale rappresentato" - di "sostituire" il
numero delle azioni con il numero dei voti ad
esse spettanti. Il che significa che in presenza di "azioni a voto
quantitativamente diverso": (i) quando la base di calcolo
è data dal "capitale totale" si deve prendere a riferimento il
numero totale dei voti spettanti alle azioni
emesse al momento della riunione assembleare;
(ii) quando invece la base di calcolo è costituita dal
"capitale rappresentato", si deve prendere a riferimento il
numero totale dei voti spettanti alle azioni
intervenute.
Tale criterio
rappresenta il logico corollario della regola dettata espressamente
dalla legge per una delle ipotesi di "azioni a voto
quantitativamente diverso", ossia le azioni senza voto. Ai sensi
dell'art. 2368, comma 1, c.c. - dettato per l'assemblea ordinaria
di prima convocazione, ma ritenuto pacificamente applicabile anche
alle altre assemblee - sono infatti "escluse dal computo le
azioni prive del diritto di voto nell'assemblea". Ciò
significa che quando la base di calcolo è data dal "capitale
totale", la legge mostra di non dare rilevanza al capitale sociale
in sé, al suo valore nominale e nemmeno al numero totale delle
azioni emesse, bensì alle sole azioni con diritto di voto. Posto
che tale regola è stata dettata con riferimento all'ipotesi tipica
(e originariamente unica) di privazione tout court del
voto per determinate competenze assembleari, appare del tutto
coerente estenderla alle altre configurazioni attualmente possibili
della deroga al principio "un'azione, un voto". Essa è del resto
confermata dalla scelta espressamente operata dal legislatore in un
particolare caso di azioni a voto quantitativamente diverso, e
precisamente dall'art. 127-quinquies, comma 8, TUF, con
riferimento alle azioni a voto maggiorato nelle società
quotate.
Si deve altresì
ritenere, a maggior ragione, che valga la medesima interpretazione,
nel senso poc'anzi illustrato, anche tutte le volte in cui la base
di calcolo sia data dal "capitale rappresentato", giacchè
diversamente si introdurrebbe (surrettiziamente) o una limitazione
dell'incremento del voto spettante alle azioni a voto plurimo o una
maggiorazione della rilevanza delle azioni a voto
"quantitativamente" limitato. Il che sarebbe certamente ammissibile
qualora ciò fosse voluto dall'autonomia negoziale, ma occorrerebbe
a questo fine un'apposita clausola statutaria che preveda
espressamente il mancato computo della diminuzione del
voto o del suo incremento ai fini del calcolo di tutti o parte dei
quorum costitutivi e/o deliberativi. Va peraltro precisato che il
risultato finale di una simile clausola non potrebbe comunque
condurre a una riduzione dei quorum minimi stabiliti dalla legge
(ipotesi che potrebbe verificarsi, ad esempio, qualora essa fosse
riferita alle ipotesi di voto contingentato o scaglionato).
3. - Il
criterio di computo dei voti - anziché delle azioni - nel capitale
totale o nel capitale rappresentato ai fini del calcolo di tutti i
quorum assembleari, affermato nel primo comma della massima,
richiede poi un'ulteriore precisazione nei casi in cui la deroga al
coefficiente 1:1 di attribuzione del diritto di voto sia
subordinata a condizioni soggettive, dipendenti da
situazioni del singolo azionista e non valevoli per tutte le
azioni. In questi casi (si è fatto l'esempio della sussistenza o
meno di determinati requisiti soggettivi dell'azionista, quali la
forma giuridica o l'età, oppure del numero di azioni possedute
dall'azionista, etc.), la differenza sta nel fatto che il numero
complessivo dei voti spettanti alle azioni emesse è mutevole nel
tempo e dipende da fattori diversi per ciascun azionista, non
sempre e necessariamente noti alla società.
Ciò non crea
alcun problema per il computo dei voti allorché la base di calcolo
sia data dal "capitale rappresentato", giacchè la società è in
grado di verificare, al momento dell'assemblea, le condizioni
soggettive relative a tutte le azioni intervenute, mentre
d'altro canto non rilevano (con riferimento al capitale
rappresentato) le condizioni soggettive relative alle azioni
non intervenute. Quando invece la base di calcolo sulla
quale si deve verificare il quorum (costitutivo o deliberativo che
sia) è data dal "capitale totale", occorre stabilire con quale
criterio procedere a tale operazione. Nella massima si afferma che
si deve tener conto delle situazioni soggettive risultanti alla
società al momento di inizio dell'assemblea, in forza delle
tecniche di legittimazione e circolazione delle azioni di volta in
volta applicabili.
Il che
significa che: (i) se le azioni sono incorporate in
certificati azionari, l'accertamento del numero di voti spettanti
al momento dell'assemblea viene effettuato in base ai
certificati azionari esibiti ai fini dell'intervento, per
le azioni intervenute, e alle risultanze del libro dei
soci, per le azioni non intervenute; (ii) se le
azioni non sono incorporate in certificati azionari, avendo la
società deciso di non emetterli ai sensi e per gli effetti
dell'art. 2346, comma 1, c.c., l'accertamento del numero di voti
viene effettuato, per tutte le azioni, in base alle risultanze del
libro dei soci; (iii) se le azioni non sono
incorporate in certificati azionari, avendo la società optato per
il regime di dematerializzazione ai sensi degli artt.
83-bis e seguenti TUF, l'accertamento del numero di voti
viene effettuato in base alle certificazioni inviate dagli
intermediari ai fini dell'intervento, per le azioni
intervenute, e alle risultanze del libro dei soci, per le
azioni non intervenute. E' peraltro possibile, e in tal caso assume
rilevanza ai fini anche dell'accertamento del numero dei voti per
il computo della base di calcolo, che lo statuto faccia dipendere
la modifica, verso l'alto o verso il basso, del numero dei voti
spettanti alle singole azioni, da una procedura di accertamento
preventivo, che consente pertanto alla società di sapere, in ogni
momento, quale sia il numero totale dei voti spettanti a tutte le
azioni in circolazione.
Quanto sopra
esposto deve altresì tener conto, per le società con azioni
negoziate in mercati regolamentati e in sistemi multilaterali di
negoziazione, della disciplina speciale contenuta nell'art.
83-sexies TUF, con particolare ma non esclusivo
riferimento alla regola della c.d. record date, nonché,
per le società con azioni negoziate in mercati regolamentati, della
disciplina del voto maggiorato, ai sensi dell'art.
127-quinquies TUF.
Nota bibliografica
La questione
del computo dei quorum costitutivi e deliberativi, in
presenza di azioni a voto limitato o senza diritto di voto, era in
parte già analizzata dalla dottrina prima della recente modifica
dell'art. 2351 c.c. ad opera del d.l. 91/2014 (c.d. "decreto
Competitività"). Si vedano in particolare: A. Angelillis -
M.L. Vitali, Sub art. 2351, in Azioni. Artt.
2346 - 2362 c.c., a cura di M. Notari, in Commentario alla
riforma delle società , diretto da P. Marchetti, L.A. Bianchi,
F. Ghezzi e M. Notari, Milano, 2008, p. 459, secondo i quali «in
presenza di azioni a voto scaglionato e azioni per le quali si
applica il tetto, i quorum deliberativi vanno calcolati
considerando unicamente i voti esprimibili in assemblea. In
conclusione, ai fini dei quorum deliberativi, non pare vi
sia alcun dubbio che la maggioranza debba essere determinata sulla
base del numero dei voti espressi in assemblea, così come calcolati
in forza delle clausole di limitazione del voto»; C.A.
Busi, Assemblea e decisioni dei soci nelle società per
azioni e nelle società a responsabilità limitata, in
Trattato di diritto dell'economia, diretto da E. Picozza e
E. Gabrielli, Padova, 2008, p. 837, per il quale «al denominatore
della frazione relativa al quoziente deliberativo deve porsi la
cifra, diversa da quella corrispondente alla regola generale che si
ricava dalle norme richiamate, corrispondente al numero complessivo
dei voti effettivamente esercitabili. Tale necessità, peraltro, si
può fondare, anziché su un'inammissibile disapplicazione o
interpretazione antiletterale delle norme di legge, sulla
previsione di un'implicita deroga statutaria a tale regola generale
in conseguenza della stessa previsione statutaria dell'emissione di
tali particolari azioni, pure in assenza di una formale
precisazione in merito alle conseguenze che quest'ultima comporta
in tema di calcolo dei quozienti deliberativi»; F.
Tassinari, Sub artt. 2368-2369, in Commentario
romano al nuovo diritto delle società , diretto da F.
d'Alessandro, Volume II, Tomo I, Padova, 2010, p. 612.
Riguardo
all'impatto sui quorum assembleari a fronte di azioni con
voto plurimo, già prima della modifica dell'art. 2351 c.c., si veda
M. Bione, Il voto multiplo: digressioni sul
tema, in Giur. comm., 2011, I, p. 673 ss., il quale
annovera tra gli «inconvenienti e quelle difficoltà pratiche cui
l'ammissione del voto plurimo potrebbe dar luogo (.) [le] possibili
difficoltà nel conteggiare i quorum costitutivi e
deliberativi richiesti per la validità delle delibere
assembleari».
Quanto alla
letteratura successiva, con riferimento alle azioni con voto
maggiorato, si veda Assonime, Le azioni a voto
plurimo e a voto maggiorato, Circolare n. 10 del 7 aprile
2015, p. 52 ss., per la quale «la base di calcolo dei quorum deve
essere corretta integrando la base di computo (il capitale sociale)
con i diritti di voto maggiorato, comprendendo cioè, al
denominatore così come al numeratore, tutti i voti potenzialmente
esprimibili, anche per effetto della maggiorazione». La medesima
Circolare (alla nt. 120) evidenzia che «l'impostazione è coerente
con i principi generali espressi dagli artt. 2368 e 2369 sulle
modalità di calcolo dei quorum assembleari, che escludono le azioni
istituzionalmente prive del diritto di voto» e richiama altresì «la
previsione dell'art. 120 Tuf», secondo cui "nelle società i cui
statuti consentono la maggiorazione del diritto di voto o hanno
previsto l'emissione di azioni a voto plurimo, per capitale si
intende il numero complessivo dei diritti di voto". Secondo la
Circolare, poi, «il fatto che la maggiorazione del voto vada ad
aumentare il denominatore determina un'attenuazione dell'incremento
del peso del voto determinato dalla maggiorazione stessa. La norma
fa salva la possibilità per lo statuto di disporre diversamente. Lo
statuto potrebbe, ad esempio, escludere dal computo dei quorum,
costitutivo e deliberativo, la maggiorazione del voto per
determinate materie, di fatto escludendolo in casi determinati (il
che sarebbe equivalente alla limitazione della maggiorazione del
voto a determinate delibere o materie)». Con riferimento alle
azioni a voto plurimo, si vedano M. Sagliocca, Il
definitivo tramonto del principio "un'azione, un voto": tra azioni
a voto multiplo e maggiorazione del voto, in Riv.
not., 2014, p. 940 ss., secondo il quale «quanto .
all'influenza che le azioni "a voto plurimo" dispiegano sui
quorum, costitutivi e deliberativi delle assemblee dei
soci, occorre probabilmente concludere che detti quorum
dovrebbero essere tarati non sul capitale a prescindere dal voto,
ma sul capitale in quanto (e come) dotato del diritto di voto
(infatti, se il voto plurimo non "pesasse" sui quorum,
perderebbe ogni sua rilevanza) (.). Un indizio normativo in tal
senso è offerto dal nuovo art. 127-quinquies, comma 8,
T.U.F. (in tema di azioni "a voto maggiorato" nelle società
quotate) ove il legislatore stesso si è premurato di chiarire come
"la maggiorazione del diritto di voto si computa anche per la
determinazione dei quorum costitutivi e deliberativi che
fanno riferimento ad aliquote del capitale sociale": invero, non si
vedrebbe perché questa disciplina non dovrebbe identicamente
applicarsi anche alla analoga materia del voto plurimo nelle
società "chiuse"»; e ancora Assonime, Le azioni a
voto plurimo e a voto maggiorato, Circolare n. 10 del 7 aprile
2015, p. 28, in cui si evidenzia che «la soluzione interpretativa
per cui i quorum costitutivi e deliberativi vanno calcolati secondo
una misura di capitale sociale corretta in base al numero dei voti
potenzialmente esprimibili appare ragionevole e conforme non solo
ai principi espressi in tema di maggiorazione del diritto di voto
ma anche alle regole di calcolo del quoziente costitutivo e
deliberativo delle assemblee (.). Resta comunque salva la facoltà
dei soci di prevedere nello statuto regole in tema di quorum
diverse dal regime sopra indicato (sempre nel rispetto dei principi
generali in tema di quorum costitutivi di cui agli artt. 2368 e
2369 c.c.) e quindi stabilire, ad esempio, un quorum costitutivo
collegato ad una certa aliquota di capitale senza tener conto dei
voti attribuiti dalle azioni a voto plurimo». Si veda, infine,
P. Abbadessa, Le azioni a voto plurimo: profili di
disciplina, in Impresa e mercato. Studi dedicati a M.
Libertini, Milano, 2015, p. 10 ss., secondo il quale «un
problema assai delicato che si pone riguardo all'influenza delle
azioni a voto plurimo su funzionamento della società concerne il
calcolo dei quorum. Come noto, la questione risulta
testualmente affrontata e risolta dal legislatore in caso di azioni
a voto maggiorato ai sensi dell'art- 127-quinquies, TUF,
avendo il legislatore stabilito che "la maggiorazione del voto si
computa anche per la determinazione dei quorum costitutivo e
deliberativo che fanno riferimento ad aliquote del capitale
sociale" (art. 127-quinquies, co. 2, TUF)». Secondo l'A.,
«che nel caso di azioni a voto plurimo tale regola debba valere per
i quorum deliberativi (.) sembra fuori discussione:
innanzitutto perché non avrebbe senso calcolare le maggioranze non
tenendo conto del numero complessivo dei voti a
disposizione dei soci, ma anche in quanto, diversamente opinando,
il peso decisionale del voto multiplo potrebbe risultare
depotenziato contro alla presumibile intenzione del legislatore».
Viceversa, secondo l'A., «la risposta appare meno sicura con
riferimento ai quorum costitutivi, riguardo ai quali:
(a) il silenzio legislativo (significativo se raffrontato
a quanto previsto per le azioni a voto maggiorato), (b) la
maggiore incisività sul sistema dei poteri del voto plurimo
rispetto al voto maggiorato, nonché (c) l'esigenza,
sottolineata da un'attenta dottrina nel quadro di uno studio molto
elaborato, di puntare su una disciplina dell'istituto meglio
calibrata nella direzione di assicurare un riequilibrio dei
rapporti di potere fra i soci inducono complessivamente a preferire
la soluzione che ritiene ininfluente il voto plurimo per il calcolo
dei quorum costitutivi». [Nota bibliografica a cura di
A. Piantelli]