134. Rilevanza delle astensioni e derogabilità dei quorum assembleari nelle s.r.l. (art. 2479-bis c.c.)
E' legittimo prevedere nello statuto di una srl che nel
calcolo del quorum deliberativo dell'assemblea non si tenga conto
delle astensioni volontarie, fatti salvi i casi in cui la legge
prescriva quorum deliberativi minimi inderogabili rapportati ad
aliquote del capitale sociale.
Motivazione
L'art. 2479-bis nel fissare i quorum
costitutivi e deliberativi dell'assemblea dei soci fa salva la
diversa previsione statutaria, il che lascia intendere che essi
siano liberamente derogabili sia verso l'alto che verso il basso,
coerentemente con la natura piuttosto elastica della struttura
organizzativa delle s.r.l. e con la tendenziale maggior
partecipazione dei soci alla vita sociale che rende meno avvertita
l'esigenza di dettare norme cogenti in materia di quorum a
tutela della cd. "istanza partecipativa".
Ciò ha determinato maggiore incertezza rispetto a quanto
avvenuto per le s.p.a. negli orientamenti emersi dopo la riforma
delle società di capitali del 2003 circa il valore da attribuire
all'astensione, tanto da indurre parte della dottrina a consigliare
di farne oggetto di specifica regolamentazione negli statuti
sociali.
Il legislatore non ha inoltre replicato la disposizione
contenuta dall'art. 2368, comma 3, circa la non computabilità nel
quorum deliberativo degli astenuti per conflitto di
interessi, tuttavia, la necessità di consentire l'adozione di
determinate deliberazioni, anche in presenza della fisiologica
astensione per conflitto di interessi della maggioranza dei soci,
può ragionevolmente far ritenere, così come sostenuto dalla
prevalente dottrina dopo la riforma, che il principio sia di
carattere generale e dunque non influenzato dal diverso tipo
sociale.
Per quanto concerne invece l'astensione volontaria, sembra avere
una certa prevalenza l'opinione (fondata sulle medesime
considerazioni di carattere sistematico ricordate in materia di
s.p.a.) per la quale anche nelle s.r.l. è preferibile computare gli
astenuti per cause diverse dal conflitto d'interessi nel
quorum deliberativo; l'autonomia statutaria, peraltro,
appare qui più libera di modulare il funzionamento dell'organo
assembleare sulla base degli interessi espressi dalla singola
compagine sociale, anche in relazione al valore dell'astensione.
L'assenza di limitazioni sulla riducibilità dei quorum
consente pertanto di fissare liberamente, con specifica
disposizione statutaria, il valore da attribuire all'astensione
volontaria, escludendola dal calcolo del quorum
deliberativo.
Analogamente a quanto concluso in materia di s.p.a., si dovranno
fare salve le fattispecie in cui disposizioni di legge prevedano
quorum deliberativi minimi inderogabili rapportati ad
aliquote del capitale sociale (ad esempio l'art. 34, comma 6, del
D.Lgs. 5/2003 che prescrive il quorum deliberativo di
almeno i due terzi del capitale sociale per l'introduzione o
soppressione di clausole compromissorie).
Nota Bibliografica
Prima dell'entrata in vigore della riforma del diritto
societario, nel silenzio del legislatore sul punto, anche in
materia di società a responsabilità limitata si poneva per gli
operatori del diritto il problema di stabilire se nel computo del
quorum deliberativo andasse considerata la quota
appartenente al socio astenuto (oltre che, sempre nel silenzio
della legge, la quota appartenente al socio moroso ed in conflitto
di interessi).
Il terzo comma dell'art. 2479-bis c.c., nell'attuale
formulazione, tace ancora sul punto limitandosi a fare salva, nella
regolamentazione dei quorum costitutivo e deliberativo,
una diversa previsione statutaria. Il legislatore non ha inoltre
riprodotto nella disciplina della società a responsabilità limitata
la disposizione contenuta dall'art. 2368, comma 3, c.c. circa la
non computabilità nel quorum deliberativo degli astenuti
per conflitto di interessi.
La prevalente dottrina ha comunque ritenuto che detto principio
sia di carattere generale e dunque possa essere applicato per
analogia anche alle società a responsabilità limitata (in tal senso
si veda F. Magliulo, Le maggioranze, in Aa.Vv. La
riforma della società a responsabilità limitata, Ipsoa,
Milano, 2008, p. 376-377).
Per quanto concerne invece l'astensione volontaria, sembra
prevalere la tesi (fondata sulle medesime considerazioni esposte
nella nota bibliografica alla massima in materia di rilevanza delle
astensioni e derogabilità dei quorum assembleari nella
società per azioni) per la quale anche nelle s.r.l. è preferibile
computare gli astenuti per cause diverse dal conflitto d'interessi
nel quorum deliberativo (in tal senso si veda F. Magliulo,
op.cit., p. 377; R. Rosapepe, Commento art.
2479-bis c.c., in M. Sandulli e V. Santoro (a cura di), La
riforma delle società , Giappichelli, Torino, 2003, vol. 3, p.
178; contra, però, si è espresso G. Sandrelli,
Commento all'art. 2479-bis c.c., in P. Marchetti et
al. (diretto da), Commentario alla riforma delle
società. Società a responsabilità limitata,
Egea-Giuffrè, Milano, 2008, p. 1020-1023, secondo cui alla
conclusione di computare i voti espressi dagli astenuti nel
quorum deliberativo si potrebbe senz'altro pervenire, in
presenza di astensioni di carattere strumentale o in funzione
"deresponsabilizzante", specie in presenza di compagini sociali
ristrette. Negli altri casi, le partecipazioni degli astenuti
dovrebbero essere escluse dal computo dei quorum,
valorizzando così al meglio, sul piano pratico, la differenza tra
l'espressione di un voto negativo e la mancata espressione di un
voto).
Anche in materia di società a responsabilità limitata,
praticamente nulla è stato scritto in merito alla questione se sia
possibile inserire nello statuto una clausola che preveda che nel
calcolo dei quorum dell'assemblea non si tenga conto dei
voti espressi dai soci astenuti. La circostanza che l'art.
2479-bis c.c. consenta all'autonomia statutaria
di prevedere una diversa regolamentazione dei quorum,
lasciandola di fatto libera di plasmare il funzionamento
dell'organo assembleare sulla base degli specifici interessi dei
soci, ha comunque indotto la dottrina a ritenere - fatte salve
naturalmente le fattispecie in cui disposizioni di legge prevedano
quorum deliberativi minimi inderogabili rapportati ad
aliquote del capitale sociale - che gli stessi siano liberamente
derogabili sia verso l'alto che verso il basso (si vedano in tal
senso N. Abriani, Decisioni dei soci. Amministrazione e
controlli, in Aa. Vv., Diritto delle società. Manuale
breve, Milano, Giuffrè, 2006, p. 300, che osserva come
l'illimitata riserva di ogni diversa previsione lascia
all'autonomia contrattuale i più ampi spazi d'intervento; F. Fico,
B. Gori, L'assemblea nelle società di capitali, Pirola -
Sole24Ore, 2003, p. 36-44; G. Sandrelli, op.cit., p. 1021,
secondo cui l'affermazione della piena derogabilità di tutti i
quozienti stabiliti dal comma 3 dell'art. 2479-bis c.c.
non discende soltanto dalla chiara lettera della norma, ma
costituisce anche elemento di continuità con la disciplina
abrogata, che già ammetteva variazione dei quorum tanto in
aumento quanto in diminuzione. Pertanto, secondo l'autore, di là
del necessario rispetto del principio maggioritario in fase
deliberativa, non sussistono oggi altri limiti a una piena
modulazione statutaria dei quozienti).
Più specificamente, non sembra che un limite alla derogabilità
in aumento dei quozienti possa essere ravvisato nella presenza
dell'art. 2369, comma 4, c.c. - che nelle società per azioni
impedisce l'aumento dei quorum per l'approvazione del
bilancio e per la nomina e revoca delle cariche sociali - in quanto
la ratio di tale norma è assai lontana dall'ordinamento
delle società a responsabilità limitata, che sono piuttosto
caratterizzate per natura dalla tendenziale maggior partecipazione
dei soci alla vita sociale, la quale rende meno stringente
l'esigenza di dettare norme cogenti in materia di quorum a
tutela della cd. istanza partecipativa. [Nota bibliografica a cura
di C. Clerici]