104. Il "valore equo ricavato da un bilancio approvato" ai fini della valutazione di conferimenti in natura in s.p.a. (art. 2343-ter, comma 2, lett. a), c.c.)
La presente Massima n. 104 è abrogata e sostituita dalla Massima
n. 120 del 5 aprile 2011, in seguito al d.lgs. 224/2010, entrato in
vigore il giorno 8 gennaio 2011
Il "valore equo ricavato da un bilancio approvato da non
oltre un anno" di cui all'art. 2343-ter, comma 2, lett. a), c.c.,
consiste nel valore correttamente iscritto in un bilancio approvato
- nei tempi e con i requisiti richiesti dalla norma stessa - a
prescindere da fatto che: (i) il bilancio sia redatto secondo i
principi contabili IAS/IFRS o secondo le norme e i principi
contabili emanati da ogni Stato membro in ossequio alla quarta
direttiva comunitaria (Direttiva 78/660/CEE); (ii) il bene o i beni
da conferire siano iscritti in bilancio con il criterio del "valore
equo" o con altro criterio, purché siano iscritti in conformità ai
criteri stabiliti dalle norme e ai principi applicabili nel caso
concreto.
Affinché il valore risultante dal bilancio possa costituire il
parametro di riferimento per la valutazione dei beni oggetto di
conferimento in s.p.a., occorre:
a) che si tratti del bilancio di esercizio, approvato da non oltre
un anno, che sia riferito ad una data non anteriore alla chiusura
dell'ultimo esercizio per il quale sia scaduto il termine legale di
approvazione;
b) che il bilancio sia stato nel caso concreto sottoposto a
controllo o revisione contabile ai sensi degli artt. 2409-bis e ss.
c.c. o degli artt. 155 e ss. TUF, sempre che il revisore non abbia
espresso rilievi in ordine alla valutazione dei beni oggetto del
conferimento o non abbia espresso giudizio negativo sul bilancio o
non abbia rilasciato una dichiarazione di impossibilità di
esprimere un giudizio (ai sensi dell'art. 2409-ter, comma 3, c.c.,
e dell'art. 156, comma 3 TUF);
c) che si tratti, in alternativa, di un bilancio infrannuale (ad
esempio il bilancio di fusione ex art. 2504-quater c.c.) avente le
medesime caratteristiche e redatto secondo le medesime norme del
bilancio d'esercizio, approvato dall'assemblea e sottoposto a
revisione contabile con i medesimi esiti di cui sopra, riferito ad
una data non anteriore alla chiusura dell'ultimo esercizio per il
quale sia scaduto il termine legale di approvazione.
MOTIVAZIONE
Il sistema di valutazione dei conferimenti in natura, previsto
dall'art. 2343-ter, comma 2, lett. a), in "alternativa" al
regime ordinario di cui all'art. 2343 c.c., si basa sul valore
contabile dei beni da conferire, risultante da un bilancio già
redatto e approvato.
La massima propone una soluzione interpretativa, in relazione a
tale valutazione alternativa, con particolare riguardo ad alcuni
profili attinenti il bilancio da cui possono essere tratti
i valori da assumere quali parametri di verifica della copertura
del capitale sociale (sia in sede di costituzione che in sede di
aumento del capitale stesso). Più specificamente, ci si interroga
sulle seguenti questioni: (i) se il bilancio debba essere
necessariamente redatto secondo i principi contabili internazionali
IAS/IFRS e se i beni oggetto di conferimento debbano essere
necessariamente iscritti secondo il criterio del "fair
value"; (ii) quale sia il grado di "aggiornamento
temporale" necessario per poter conto dei valori risultanti
dal bilancio; (iii) come debba intendersi il requisito della
"relazione di revisione" senza rilievi critici; (iv) se
possa essere utilizzato anche un bilancio diverso dal bilancio
d'esercizio e a quali condizioni.
(i) Il "valore equo" di un bene iscritto in un
bilancio rappresenta una nozione ormai facente parte del
diritto contabile italiano e corrisponde alla nozione di fair
value, come definita e disciplinata dai principi contabili
internazionali, resi applicabili nel nostro ordinamento dai
regolamenti comunitari di adozione e come tali recepiti dal d.lgs.
38/2005. A prima vista, pertanto, non parrebbe esservi alcun dubbio
che la disposizione in esame trovi diretta applicazione con
riferimento a tutti i cespiti che presentino le due seguenti
caratteristiche: (i) siano iscritti in un bilancio redatto, in via
obbligatoria o facoltativa, secondo i principi contabili
internazionali IAS/IFRS; e (ii) siano valutati, in tale bilancio,
con il criterio del fair value in conformità ai principi
contabili medesimi.
Sebbene sia proprio questa la lettura fornita dalla stessa
Relazione allo schema governativo del decreto legislativo,
qualche dubbio in realtà sorge laddove ci si chieda se davvero
solamente i beni iscritti secondo il criterio del valore
equo in un bilancio redatto secondo gli IAS/IFRS possano essere
assoggettati alla modalità di valutazione dei conferimenti di cui
all'art. 2343-ter, comma 2, lett. a), c.c., oppure se lo
stesso trattamento non possa essere riservato anche ad altri
cespiti iscritti con altri criteri nei bilanci IAS/IFRS o anche ai
cespiti iscritti in bilanci non IAS/IFRS. L'affermazione contenuta
nella Relazione, del resto, finisce per essere apodittica,
posto che si fonda unicamente sul tenore letterale della Seconda
Direttiva, senza peraltro rendere conto del fatto che la stessa
Direttiva utilizza il medesimo termine "valore equo" anche con
riferimento alla valutazione effettuata dall'esperto indipendente,
che non necessariamente coincide con il fair value dei
principi contabili internazionali. Anzi, la Seconda Direttiva si
riferisce anzitutto e in prima battuta, nell'art. 10, par. 2, ad un
concetto generico di "valore equo" che sia "già stato valutato da
un esperto (.) conformemente ai principi e ai criteri generalmente
riconosciuti nello Stato membro per il tipo di attività da cui è
costituito il conferimento", con ciò lasciando intendere, che
non si tratta in questo caso, in senso stretto, del
fair value dei principi IAS/IFRS, posto che altrimenti non
avrebbe senso il rinvio ai criteri riconosciuti nello Stato
membro per la tipologia di beni costituenti il
conferimento.
Questo argomento letterale, basato sull'uso della locuzione
"valore equo" da parte sia della Seconda Direttiva (nei par. 2 e 3
dell'art. 10 bis) sia della nuova norma italiana (nelle
lett. a) e b) del secondo comma dell'art.
2343-ter c.c.), sembra dimostrare che la questione non
possa essere risolta e archiviata - nel senso voluto dalla
Relazione - sulla base della lettera della legge, poiché
è lo stesso tenore letterale della norma che mostra i propri
limiti e non assume dunque rilevanza decisiva. In altre
parole, sebbene di regola l'espressione "valore equo" abbia un
significato ben preciso nella legislazione comunitaria e italiana,
in questo caso si tratta di una locuzione a cui non può essere
automaticamente attribuito quel preciso significato, bensì un
significato da ricostruire sulla base di tutti gli elementi
interpretativi offerti dal sistema di norme in cui essa è
utilizzata.
La massima, su tali basi, accoglie la tesi, già sostenuta da
parte della dottrina, in forza della quale assumerebbero rilievo,
quale parametro di valutazione della copertura del capitale sociale
ai sensi dell'art. 2343-ter, comma 2, lett. a), c.c., i
valori "correttamente iscritti" in un bilancio approvato,
a prescindere dal fatto che: (i) il bilancio sia redatto secondo i
principi contabili IAS/IFRS o secondo le norme e i principi
contabili emanati da ogni Stato membro in ossequio alla quarta
direttiva comunitaria (Direttiva 78/660/CEE); (ii) il bene o i beni
conferiti siano iscritti in bilancio con il criterio del "valore
equo" o con altro criterio, purché siano iscritti in conformità al
o ai criteri stabiliti dalle norme e ai principi applicati nel caso
concreto. Gli argomenti per avallare tale interpretazione sono i
seguenti.
In primo luogo, nell'ambito dei bilanci redatti secondo
i principi IAS/IFRS, lo stesso fair value non rappresenta sempre, a
ben vedere, un criterio che stabilisce a che valore si
iscrive un bene in bilancio, bensì un criterio che stabilisce
come si "aggiorna" il valore di un bene dopo la sua prima
iscrizione. Così è, ad esempio, per gli immobili, gli impianti e i
macchinari, secondo lo IAS 16, in base al quale tali cespiti sono
in ogni caso iscritti secondo il criterio del costo, mentre la
valutazione successiva alla rilevazione iniziale può essere
effettuata o secondo il "modello del costo" o al fair
value secondo il "modello della rideterminazione del valore",
salvi i principi di riduzione di valore delle attività, di cui allo
IAS 36. Risulta quindi difficile comprendere come lo stesso bene,
iscritto al costo, non possa essere conferito a valori
contabili - in applicazione dell'art. 2343-ter, comma 2,
lett. a), c.c. - durante il primo esercizio sociale dopo la prima
iscrizione (posto che il suo valore non rappresenta, a rigore, il
fair value, bensì il costo), bensì possa esserlo negli
esercizi successivi, qualora (e a condizione che) sia adottato il
modello della rideterminazione del valore.
In secondo luogo, sempre in ambito IAS/IFRS, non si
vedono ragioni per circoscrivere l'applicabilità del regime
alternativo ai soli beni e cespiti valutati al fair value,
escludendo quelli iscritti al costo o secondo gli altri criteri
previsti dai principi contabili internazionali, soprattutto laddove
si ponga mente al fatto che l'applicazione dei criteri di
valutazione al fair value non comportano una maggior
"garanzia" di copertura del valore imputato a capitale sociale in
sede di costituzione della società, né di maggior "prudenza" nella
determinazione del "valore limite" che può essere utilizzato per
liberare le azioni di nuova emissione. Anzi, parrebbe proprio dirsi
il contrario, anche nell'ambito degli stessi principi contabili
IAS/IFRS, se non forse in casi particolari nei quali una forte
diminuzione di valori possa essere rilevata "prima" qualora si
applichi il fair value, piuttosto che applicando altri
criteri.
In terzo luogo - ed ora passiamo ai bilanci redatti
secondo le norme e i principi contabili emanati dalle legislazioni
nazionali in adeguamento alla Quarta Direttiva - si possono
estendere ai bilanci non IAS/IFRS le medesime osservazioni da
ultimo raggiunte nell'ambito dei principi contabili. Nel confronto
tra gli uni e gli altri, infatti, parrebbe potersi dire, pur con un
necessario grado di approssimazione, che il valore "coretto" (ossia
conforme alle norme e ai principi contabili nazionali) risultante
dai bilanci non IAS/IFRS non sia di per sé meno significativo, al
fine di fungere da parametro "alternativo" per la copertura del
capitale sociale formato a fronte di un conferimento in natura,
rispetto al valore "equo" risultante dai bilanci IAS/IFRS in caso
di applicazione del criterio del fair value. Del resto, un
minimo grado di approssimazione è comunque un connotato
caratteristico della stessa norma qui in commento, che, a fini di
semplificazione dei conferimenti in natura, "prende per buoni" i
valori già risultanti da un precedente bilancio approvato,
accontentandosi di richiedere all'uopo una "decisione" degli
amministratori ed una loro verifica di insussistenza di fatti nuovi
rilevanti dopo la data di riferimento del bilancio.
(ii) Con riferimento al grado di aggiornamento temporale del
bilancio da prendere in considerazione per rilevare il valore dei
beni conferiti, l'esegesi della norma deve superare alcuni
ostacoli, in parte dovuti ad una tecnica legislativa non del tutto
immune da rilievi critici. La norma italiana, infatti, si discosta
sotto questo profilo dalla direttiva comunitaria, la quale pone un
diverso limite temporale, dovendosi trattare del bilancio
dell'esercizio precedente. Nonostante ciò - e malgrado la
scarsa consapevolezza dimostrata anche nella Relazione -
occorre in ogni caso cercare di dare alla norma il significato più
congruo, compatibile con il suo tenore letterale e meno distante
possibile dalla direttiva comunitaria.
Per un verso, non sembra ci si possa accontentare della
circostanza che la approvazione del bilancio non sia
intervenuta da più di un anno, non essendo evidentemente idoneo un
bilancio riferito a due o tre esercizi precedenti, pur se approvato
- tardivamente - da meno di un anno. Per altro verso, sembra
doversi escludere l'idoneità dei bilanci pur tempestivamente
approvati, qualora sia stato nel frattempo approvato il bilancio
dell'esercizio successivo. La ricostruzione più soddisfacente della
norma, pertanto, conduce ad affermare che devono essere ritenuti
idonei i soli bilanci che siano approvati da non oltre un
anno e che al contempo siano riferiti ad una data non
anteriore alla chiusura dell'ultimo esercizio per il quale sia
scaduto il termine di approvazione previsto dalla legge.
(iii) Il terzo profilo esaminato dalla massima riguarda il
requisito richiesto in ordine alla circostanza che il bilancio sia
"sottoposto a revisione legale". Si legge nella
Relazione che la norma comunitaria "rinvia alla revisione
legale di cui alla direttiva 2006/43/CE attualmente in corso di
recepimento" e che "si è preferito pertanto utilizzare la
denominazione di revisione legale piuttosto che quella di controllo
contabile utilizzata dall'articolo 2409-bis, al fine di
tenere conto delle prossime modifiche normative". Su tali basi si
ritiene che il riferimento alla "revisione legale" valga a
comprendere tutte le forme di controllo o revisione
contabile cui sono soggetti i bilanci d'esercizio di tutte le
società per azioni, vuoi ai sensi degli artt. 2409-bis e
seguenti c.c., vuoi ai sensi degli artt. 155 e seguenti TUF.
Decisiva in tal senso è la esatta corrispondenza "contenutistica"
dell'attività di revisione contabile ai sensi di entrambe le
discipline, quale risultante, da un lato, dall'art.
2409-ter c.c., e, dall'altro, dagli artt. 155 e 156
TUF.
Né del resto vi sono ragioni per discriminare a seconda del
soggetto cui viene affidato il compito di svolgere il controllo o
la revisione contabile, a seconda che si tratti del collegio
sindacale, di un revisore persona fisica, di una società di
revisione "ordinaria" o di una società di revisione iscritta
all'albo speciale tenuto dalla Consob ai sensi dell'art. 161 TUF.
Allo stato attuale, infatti, il nostro ordinamento reputa che tutti
i soggetti ora ricordati possano svolgere in modo idoneo la
medesima attività e la debbano svolgere con sostanziale identità di
contenuti e risultati (che sfociano essenzialmente nella "relazione
di revisione" sul bilancio), pur se non tutti i soggetti medesimi
possano svolgerla nei confronti di tutte le società per azioni.
(iv) Sotto l'ultimo aspetto qui considerato, si ritiene che
possa trattarsi, in alternativa al bilancio di esercizio, di un
bilancio infrannuale (ad esempio il bilancio di fusione ex art.
2504-quater c.c.) avente le medesime caratteristiche e
redatto secondo le medesime norme del bilancio d'esercizio,
approvato dall'assemblea e sottoposto a revisione contabile con i
medesimi esiti di cui sopra, riferito ad una data non anteriore
alla chiusura dell'ultimo esercizio per il quale sia scaduto il
termine legale di approvazione. In questo modo si può considerare
equivalente la rappresentazione contabile dalla quale si
trae il valore che assume ruolo di parametro per la verifica del
valore di conferimento, in luogo della perizia di cui all'art. 2343
c.c.